È da 12 anni che il padre Michele e i fratelli Andrea e Vincenzo chiedono che sia fatta giustizia sulla morte di Luca Campanale che morì impiccandosi nel 2009 a 28 anni nel carcere di San Vittore dove era recluso per uno scippo. Ora, attraverso un ricorso firmato dallavvocato Andrea Del Corno, la vicenda approda alla Corte europea dei diritti delluomo chiamata a dirimere un caso con esiti giudiziari "storici" e controversi. Nel 2014, in primo grado, una psicologa venne assolta mentre a una psichiatra furono inflitti otto mesi di reclusione per omicidio colposo. Inoltre, il Ministero della Giustizia fu condannato al pagamento di una provvisionale da 529mila euro. Fu, quella, la prima volta che un tribunale italiano riconobbe una responsabilità di questo tipo per un suicidio dietro le sbarre. Ma in appello, confermato dalla Cassazione, entrambe le imputate furono scagionate con la revoca delle statuizioni civili. Il ricorso punta su una «sequenza degli avvenimenti ritenuta di per sé esplicativa: Campanale si suicida il 12 agosto 2009 a mezzanotte e mezzo, dopo lesecuzione del provvedimento di revoca della Sorveglianza a vista e della permanenza nella zona delle celle a rischio, quindi con declassamento del regime di controllo». Responsabili sarebbero state, nella lettura della parte civile, le dottoresse R.D.S., psicologa, e M.M., psichiatra, perché avrebbero sottovalutato il rischio che il giovane si suicidasse. In particolare, non avrebbero dato il giusto peso al fatto che Campanale fosse affetto da seri disturbi psichici e avesse compiuto «numerosi gesti autolesivi» nel carcere di Pavia dove era detenuto in precedenza. Dalla ricostruzione di Del Corno emerge che il 30 luglio del 2009 la psicologa «aveva revocato la sorveglianza a vista e linserimento nelle celle a rischio», mentre la psichiatra «non aveva disposto alcun regime di sorveglianza ma aveva ridotto il presidio farmacologico sulla base di una non riscontrata alleanza terapeutica». Il 2 e il 4 agosto Campanale aveva compiuto «numerosi gesti autolesivi» senza che venisse cambiatala scelta di non sottoporlo a unosservanza più stretta. In totale nel ricorso si citano nove episodi, documentati, di «reiterati gesti autolesionistici, aggressivi nei confronti di altri e tentativi di suicidio tra il maggio e lagosto dellanno in cui il giovane si tolse la vita.