Il carcere non deve rappresentare l’unica risposta al reato e che, anzi, per gli effetti desocializzanti che comporta, deve essere evitato quando possibile in favore di pene da eseguirsi nella comunità. Per questo motivo, «se corredate di contenuti sanzionatori positivi, le sanzioni sostitutive possono rivestire il ruolo di vere e proprie pene sostitutive delle pene detentive». Parliamo di un altro capitolo importante della relazione elaborata dalla Commissione Lattanzi, presentata recentemente in commissione Giustizia dalla ministra Marta Cartabia. Venendo al merito della proposta, la Commissione propone anzitutto di abolire la semidetenzione e la libertà controllata, in quanto sanzioni oggi esistenti solo sulla carta.

Il nuovo sistema prevede che entro la soglia di quattro anni la pena detentiva, purché applicata con la sentenza di patteggiamento, possa essere sostituita con nuove misure corrispondenti, nei contenuti, alle misure alternative alla detenzione – detenzione domiciliare, affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà – già oggi applicabili da parte del tribunale di sorveglianza entro lo stesso limite di pena. Di fatto, attraverso il meccanismo di cui all’art. 656, co. 5 c. p. p., il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni può evitare l’ingresso in carcere accedendo a una misura alternativa alla detenzione. Osserva la Commissione Lattanzi, che le misure stesse, incidendo sulla qualità della pena e determinando «lo star fuori dal carcere», sono sempre più concepite, anche dalla Corte costituzionale come “pene alternative” al carcere, più che come mere modalità alternative di esecuzione della pena detentiva.

Di qui l’idea di una loro ( ulteriore) applicazione come sanzioni/ pene sostitutive direttamente da parte del giudice di cognizione. Non solo. Nel contesto di un progetto di riforma più ampio, volto a rendere più efficiente il processo penale riducendone i tempi, la Commissione ritiene che la proposta avanzata possa essere opportunamente riservata al rito alternativo del patteggiamento, rappresentandone un forte incentivo. «Attraverso il patteggiamento a pena sostituita con la detenzione domiciliare, l’affidamento in prova al servizio sociale o la semilibertà – si legge nella relazione -, si garantisce all’imputato di uscire dal processo penale presto e con la certezza di non sperimentare il carcere; al tempo stesso si alleggerisce in modo corrispondente il giudizio di sorveglianza».

Entro la soglia massima di tre anni di pena detentiva si propone poi, quale nuova sanzione sostitutiva, il lavoro di pubblica utilità, che è oggi previsto come pena sostitutiva in rapporto solamente a taluni reati, puniti con pena detentiva, previsti dal codice della strada e sugli stupefacenti. La questione è importante, perché si fa anche un ragionamento “di classe”. Per le pene detentive fino a sei mesi, attualmente, c’è la sostituzione in pena pecuniaria. Ebbene, a partite dal 2009, c’è stato l’aumento da 38 a 250 € per ogni giorno di pena detentiva dell’ammontare minimo della quota giornaliera: ciò ha reso irragionevolmente gravosa la misura. Un mese di pena detentiva deve essere sostituito con almeno 7.500 €; sei mesi con almeno 45.000 €. La commissione Lattanzi ricorda, per fare un esempio che inquadra il problema, che nel 2015 ha richiamato l’attenzione dei media una sentenza di condanna a 45 giorni di reclusione, sostituiti con una multa di 11.250 euro, per il furto in un supermercato di una salsiccia dal valore inferiore a 2 euro.

Di recente la Corte costituzionale ha sottolineato come l’attuale valore giornaliero minimo della pena pecuniaria sostituita alla pena detentiva renda «eccessivamente onerosa per molti condannati la sostituzione della pena... con il conseguente rischio di trasformare la sostituzione della pena pecuniaria in un privilegio per i soli condannati abbienti». Quindi, una volta evidenziato anche questo problema, la commissione Lattanzi propone, da una parte innalzare il limite della pena detentiva sostituibile e, nel contempo, di modificare la tipologia delle pene sostitutive in modo tale da valorizzare contenuti sanzionatori sperimentati con successo in altri contesti normativi. «Ciò – sottolinea la commissione - nella consapevolezza che il carcere non deve rappresentare l’unica risposta al reato e che, anzi, per gli effetti desocializzanti che comporta, deve essere evitato quando possibile in favore di pene da eseguirsi nella comunità. Se corredate di contenuti sanzionatori positivi, le sanzioni sostitutive possono rivestire il ruolo di vere e proprie pene sostitutive delle pene detentive». In sintesi, adottare una riforma delle pene sostitutive, ottiene soluzioni a tre criticità. La prima è la deflazione carceraria. Le altre due sono ripercussioni positive in termini di deflazione processuale, se si valorizzano quelle pene come incentivo ai riti alternativi – procedimento per decreto e patteggiamento, in particolare – il cui ruolo è di primaria importanza in vista della deflazione del carico giudiziario e della riduzione dei tempi medi di durata del processo penale.