Dalle intercettazioni di Totò Riina al 41 bis, la procura generale di Palermo ha finalmente individuato un passaggio dove l’ex capo dei capi di Cosa nostra avrebbe raccontato qualcosa di gravemente compromettente durante la fase del suo arresto da parte dei Ros. L’unico passaggio di Riina, dove davvero potrebbe rafforzarsi la tesi della trattativa Stato-mafia. Ma è così? Ora riveliamo l’arcano.

Il mistero dell'agendina sparita

In sostanza si parla di una agendina misteriosa che un capitano (potrebbe essere Ultimo?) avrebbe sottratto a Riina. Il Pg ne parla durante la sua requisitoria di lunedì scorso al processo d’appello trattativa. «Nel rileggere le conversazioni intercettate in carcere tra il predetto Riina Salvatore e il Lo Russo (il suo compagno d’ora d’aria, ndr) – spiega il Pg durante la requisitoria - , particolare attenzione ha destato un passaggio di queste conversazioni quando il Riina, nel commentare il giorno del suo arresto, ha fatto anche riferimento alla circostanza che gli venne trovata addosso un'agendina, e il capitano che operava in quel momento all’interno del covo gli avrebbe detto che non gli sarebbe stata sequestrata perché a loro – ai carabinieri sul posto – non interessava quei numeri». Il Pg aggiunge: «Di fatto poi l’agendina non gli venne rinvenuta!».

Dalle intercettazioni emerge che l'agendina era di Lorusso

Per il procuratore generale questa circostanza si va ad aggiungere ad una lunga catena di disattenzioni e omissioni. In effetti è un episodio decisamente inquietante e ciò porrebbe numerosi interrogativi. Peccato però che Il Dubbio è andato a rileggere le intercettazioni, scoprendo così che quell’episodio è stato effettivamente narrato durante le chiacchierate tra i due. Però non riguarda Totò Riina, ma il suo compagno d’ora d’aria Alberto Lorusso. Precisamente alla trascrizione del colloquio area passeggio del 10 agosto 2013, Lorusso dice a Riina: «Però ... vi posso dire una cosa io?». Al che racconta tutta la storia: «lo portavo nel portafoglio una piccola agenda con i numeri della famiglia mia, i numeri di mio fratello, di mia sorella, della mia cosa... i numeri dell'avvocato ... no? Il Capitano dei Carabinieri vide l'agenda là l'orologio, l'agenda, il portafoglio, i documenti, la patente poggiati là... ha preso l'agenda in mano... mi guardò e mi disse... neanche voglio vedere che cosa sta nell'agenda, dice, non vorrei trovare, non vorrei trovare qualche numero telefonico chissà di chi e l'ha lasciata l'agenda». Non è il racconto di Riina, ma è una vicenda che riguarda l’allora sua, come si suol dire nell’offensivo gergo carcerario, “dama di compagnia”. Lorusso aggiunge: «Non c'era niente, non c'era niente perché... Allora questi, quello mi ha fatto capire, quello mi ha fatto capire che teneva paura che forse nella mia agendina piccola, davanti nel portafoglio, ci potesse essere non so che cosa... e loro potessero passare i guai». Risolto il mistero dell’agendina di Riina: non era la sua, ma del boss della Sacra corona unita Lorusso.

Riina nelle intercettazioni fa chiarezza sulla "mancata perquisizione"

Il procuratore generale di Palermo si è evidentemente confuso con la lettura delle intercettazioni. Cose che capitano. A questo punto, visto che tutti i magistrati sostenitori della tesi della trattativa concordano – ed è esattamente così - nel ritenere genuine le intercettazioni di Riina, ci permettiamo umilmente di consigliare di leggerle bene. Ad esempio, molto probabilmente saranno sfuggiti tutti i passaggi dove il capo dei capi smentisce la trattativa, persino il discorso dei presunti documenti spariti dalla sua cassaforte a causa della cosiddetta “mancata perquisizione”. Prendiamo ad esempio sempre la trascrizione di quel giorno stesso, quando appunto Lorusso parla della sua agendina. Il tema è la tesi processuale che vede qualche manina oscura far sparire documenti scottanti di Riina ritrovati nel suo covo, o meglio la sua abitazione dove viveva la famiglia. Non è vero nulla, dice il capo dei capi. «Questa ... questa è la casa. Che cosa è successo poi – racconta Riina - ... che mia moglie, verso le dieci le undici mia moglie se n'era andata... i picciutteddi... i figli... dice, io tutte cose ... e poi... ci sono andati a scattiari i miei nipoti a prenderla... Là dentro c'era una stanza che era con la porta blindata avevo tappeti, avevo quadri... avevo il bene di Dio... e poi ... tutte cose hanno preso. Eh... una cassetta nel muro, dietro il quadro ... così... quando ..». Lorusso lo interrompe: «Una cassetta piccola, una cassetta dietro il quadro, di quelle…». Ed ecco che Riina risponde in modo categorico: «Sai, si, però non ci tenevo niente io... ci tenevo solo là ... oggetti di famiglia!».

Riina a Lorusso: nella cassaforte di casa mia non ho mai tenuto niente

A quel punto Riina approfondisce: «E là sotto... là... in questa... sarà che sono rimasti quadri, queste cose... avevo una valigia di brillantini dei picciutteddi... non avevo cose di traffici, di questi che riguardano, traffici in casa, niente. Perciò qualcuno gli diceva qualcuno di questi che fanno i pentiti... lui deve avere un tesoro, deve avere dentro, documenti, delle cose importanti. Ma i ...». Lorusso gli finisce la frase: «Non c'era niente». Riina conferma: «Non ho mai tenuto niente!». Lorusso gli dice che quindi erano fantasie loro. «Erano fantasie di loro – rimarca Riina - . Tanto è vero che poi i miei nipoti, le mie cognate... a mio cognato l 'hanno denunciato per furto... dice che fu... no furto... per questa, questa cosa di questa casa. Insomma in questa casa che risultò pulita, tutti i mobili cummigghiati (coperti), belli sistemati, sistemato... ed hanno denunciato quattro, cinque miei parenti... uno per tutti... poi hanno fatto cadere... hanno fatto scadere la denuncia...». In pratica, da queste intercettazioni appare chiaro che la vicenda dei documenti scomparsi, è una “fantasia loro”, giusto per usare le parole di Riina. In realtà teneva gioielli, oggetti di valore, tanto che la moglie ha fatto una denuncia per furto. Ma sicuramente sarà un passaggio sfuggito ai Pg, per questo ci permettiamo di segnalarlo.

Il capo dei capi non crede che Provenzano l'abbia tradito

Resta anche sullo sfondo un altro dato. Totò Riina, come si evince dalle intercettazioni, soprattutto quella del 3 novembre del 2013, in più occasioni dice che non crede alla tesi che Provenzano l’abbia tradito, venduto in nome di una trattativa. «Provenzano – dice Riina - ha portato sempre acqua nel mulino... eh... , il mulino... macinato. Quindi... inc... il mulino è macinato. Quindi se uno è traditore non mi porta acqua... in questa maniera!». Più avanti Riina giunge alla sua conclusione: «Eccomi perché non posso credere queste illazioni che vogliono fare ... il magistrato, le cose... perché... un altro detenuto magari può dire... l'ho sentito dire... la televisione... dice che è pronto a collaborare... lascia stare..., per il suo tornaconto e per il nostro tornaconto. No, non... Binnu (Provenzano, ndr) non è persona di queste... non è persona di queste. Però quando io mi sono reso conto che lui ... la carrettella pesava ... eh ... ogni minuto io gli mettevo un peso che pesava, pesava..., Binnu... tu... inc... l'ho lasciato libero. Sempre, sempre, debbo dire la verità, non... confidenza non gliene davo e se si parlava di cose nostre... non... gli dicevo... cose mie personali». In realtà è solo uno dei tanti passaggi interessanti che si scovano nelle migliaia di pagine di intercettazioni. Tanti sono gli spunti, gli indizi che si possono ricavare. Compresa l’accelerazione della strage di Via D’Amelio e chi era presente all’esecuzione. Ma questo sarà un capitolo che Il Dubbio affronterà a parte.