«È una partita bellissima. Nel senso che il traguardo è chiaro e prestigioso: la definizione tempestiva delle riforme. Nello stesso tempo è giusto dare valore alla dialettica parlamentare, che per arrivare alle riforme è la strada maestra. In un quadro del genere è chiaro che la proposta appena presentata dalla commissione Luciani ai partiti per implementare la legge delega sul Csm costituisce un contributo, autorevole, alla discussione. Nel confronto più ampio, le forze politiche in Parlamento avranno pieno titolo e diritto di scegliere». Francesco Paolo Sisto, sottosegretario alla Giustizia, guarda al ddl sull’ordinamento giudiziario come al «punto nodale» dell’intero disegno riformatore, ma non nasconde che su «aspetti delicatissimi come il sistema per eleggere i togati o lo stop alle porte girevoli fra magistratura e politica è necessario riflettere, magari in sinergia». Intanto sul tavolo c’è anche il referendum: il discorso forte della ministra Cartabia serviva anche a “dissuadere” dal rincorrere l’iniziativa di radicali e Lega con proposte al rialzo sul Csm? Ma no, parliamo di due quadranti diversi. La proposta referendaria è sempre e comunque espressione genuina della democrazia diretta, e la leggo come una sollecitazione virtuosa alla più sollecita approvazione delle riforme. Possiamo considerarla caratterizzata da una sorta di eterogenesi dei fini: un’iniziativa referendaria costituzionalmente ortodossa, avviata in presenza di un percorso di riforme, può solo diffondere la cultura del cambiamento e contribuire ad accelerare quel percorso. Ma, sia chiaro, si colloca in un quadrante diverso, anche se non interferente. I ddl sul processo si ispirano al principio del “giusto e breve”: e quello sul Csm? Abbiamo sempre la stessa bussola: la Costituzione. Nello specifico, il richiamo si traduce nell’argine a due distorsioni che tradiscono i principi della Carta: il correntismo e il carrierismo. È un obiettivo chiaro a tutti, nessuno escluso. E davvero con una legge delega lo si può cogliere? Non esistono bacchette magiche. Da docente universitario di sicurezza sul lavoro, ricordo sempre il fine di ogni sforzo in materia: raggiungere la massima sicurezza tecnologicamente possibile, la migliore prevenzione che c’è. Ci si arriva per gradi. La riunione che si è appena conclusa fra la commissione Luciani e i rappresentanti dei partiti è stata effettivamente e necessariamente interlocutoria. I tecnici incaricati dalla ministra hanno esposto un progetto importante, che nella sua redazione scritta consta di ben 90 pagine, dense di tecnicalità meritevoli di approfondimento. E in una prima logica di elaborazione dialettica, non su tutti i passaggi della proposta le valutazioni dei partiti sono state convergenti. È proprio quello del confronto vero, il metodo che ci porterà a un dibattito parlamentare produttivo: camere oscure, pacchetti blindati, non ne esistono più. Ma visti i punti da affinare c’è il rischio che i tempi si allunghino? È il contrario: con l’approccio seguito già sulle riforme del processo civile e del processo penale, e ribadito oggi, ci si "porta avanti" col lavoro. Si risparmia tempo. Tanto per chiarire, prima di depositare gli emendamenti governativi alla Camera, la ministra incontrerà di nuovo le forze di maggioranza, per illustrarli preventivamente. Tutto affinché le soluzioni tecniche che saranno avanzate formalmente dal governo abbiano la massima condivisione possibile. Poi però, lo ribadisco, il Parlamento sarà il vero autore della riforma. Veramente la sfida, come dicevo, è esaltante. Dal mio punto di vista, il ddl sull’ordinamento giudiziario è un punto nodale dell’intera riforma della giustizia. Tra gli obiettivi di molti partiti c’è la riduzione al minimo, quando non l’azzeramento, dei passaggi di funzione da pm a giudice: è uno dei punti su cui c’è differenza con la proposta Luciani? Nell’ipotesi presentata dalla commissione ministeriale è indicato un limite di due passaggi di funzione nell’arco della carriera. Altre proposte appena depositate in commissione Giustizia a Montecitorio consentirebbero un solo passaggio, e nella fase iniziale della carriera. È in ogni caso condivisa l’idea di ridurre i numeri dell’osmosi fra chi accusa e chi giudica. Anche perché, nello stesso Csm, il peso politico dei pm quasi schiaccia i giudici: come si pensa di rimediare? Domanda nociva, si direbbe nel dibattimento. È comunque condiviso il principio di dover evitare squilibri sia dal punto di vista della composizione, nel senso che al Csm dovrà esserci un bilanciamento fra i togati provenienti dal requirente e i giudicanti, sia nel senso di scongiurare la maggiore incidenza, o addirittura la sopraffazione da parte di chicchessia. È pur vero che allo stato non c’è completo accordo su alcune soluzioni tecniche, come ad esempio sul sistema per eleggere i togati, rispetto al quale erano perplessi, all’incontro, Zanettin e Turri, e sulle cosiddette porte girevoli fra carriera in magistratura e attività politica: i tecnici ritengono che non si debba precludere in modo assoluto il rientro in magistratura, diversi partiti invece lo ritengono necessario. Sono questioni pure delicate, ma ben risolvibili con uno sforzo di mediazione. Ma ripeto: la proposta della commissione Luciani è una proposta aperta. Il quadro non è del tutto rassicurante. Invece io sono convinto che l’approccio generale sia maturo, al punto da poter garantire che la sintesi arriverà e in tempi brevi. Sa perché? Io vedo la consapevolezza di chi è ai blocchi di partenza di una finale dei cento metri piani: ognuno nella propria corsia, pronti a uno sprint, un rush che ci veda tutti tagliare contemporaneamente il traguardo. Per vincere, dobbiamo vincere tutti e tutti insieme.