«Vogliono farmi tacere, è un intimidazione nei confronti dell’indipendenza del potere giudiziario!», aveva tuonato nel marzo 2019, all’indomani di un’inchiesta ordinata dal ministero di Giustizia rumeno sui metodi spregiudicati e “polizieschi” con cui ha condotto le sue inchieste quando era a capo della Dna, la Direzione nazionale anti- corruzione della procura di Bucarest che ha comandato per sei anni, dal 203 al 2019. Intercettazioni sul filo della legalità, custodie cautelari per estorcere confessioni, utilizzo disinvolto dei servizi segreti; insomma tutto il campionario di una “mani pulite che si rispetti”.

Adorata dai rumeni, scesi in piazza per sostenere le sue battaglie e detestata da gran parte della classe politica finita sotto la sua lente d’ingrandimento la 48enne Laura Codruta Kövesi oggi è a capo della neonata procura europea, istituita due anni fa dopo una gestazione durata quasi due decenni ma in funzione da appena due giorni. Dovrà occuparsi della sua specialità: la lotta alle frodi, nella fattispecie sorveglierà la destinazione e l’impiego dei fondi e delle sovvenzioni dell’Ue, si occuperà inoltre del riciclaggio di denaro e delle truffe sull’Iva che eccedono i dieci milioni di euro.

La sua nomina è stata oggetto di polemiche e non ha raccolto certo l’unanimità tra i 27, nonostante sia sostenuta dai grandi Paesi come Francia, Germania e Italia. In particolare Polonia e Ungheria, principali beneficiarie dei finanziamenti comunitari, si sono opposte con vigore alla stessa istituzione della procura europea che di fatto non riconoscono. Da Budapest il premier Viktor Orban afferma che il mandato della procura entra in conflitto con la Costituzione e accusa Kövesi di essere «un’agente straniera», rammentando peraltro le inchieste condotte contro le amministrazioni municipali guidate dalla minoranza ungherese in Romania. Anche il governo sloveno del premier sovranista Janez Jansa ( grande amico di Orban) si è opposto alla nomina di Kovesi e minaccia di abbandonare la procura. A storcere il naso non c’è solamente il drappello di nazioni dell’est, il cosiddetto gruppo di Visgrad accusato di opacità e di posizioni anti- liberali se non proprio euroscettiche. Svezia, Danimarca, Finlandia e Irlanda si sono infatti astenute e appaiono preoccupate dei poteri, molto ampi, di cui dispone la procura europea che potrà spiccare mandati di arresto e sequestro dei beni in tutte le nazioni dell’Unione.

Specie se nelle mani di una magistrata che vive il suo incarico come una sorta di missione morale, con uno zelo che supera il perimetro formale delle sue competenze giudiziarie, e con una certa tendenza al populismo penale attraverso l’uso dei media. Quando dirigeva la Dna in Romania si è scontrata con l’ex premier socialdemocratico Liviu Dragnea, uomo forte del Paese, che alla fine fu condannato a tre anni di reclusione per traffico d’influenze ( in totale sono centinaia le persone spedite in galera dalla magistrata, molte delle quali poi scagionate). I militanti socialdemocratici del Psd accusarono Kövesi di aver organizzato una vera e propria caccia alle streghe animata da sentimenti parziali e dal suo stesso protagonismo.

E quando il governo decise di depenalizzare il reato di abuso di ufficio, pronunciò parole di fuoco contro la classe politica invitando i cittadini a ribellarsi apertamente contro l’esecutivo. Venne licenziata dalla Dna a seguito di un’inchiesta interna del ministero di Giustizia sui metodi muscolari con cui ha spesso vessato gli indagati e per «mancato rispetto delle prerogative del Parlamento». Ci sarebbe anche una presunta “falsificazione di prove” da parte di due procuratori che lavoravano sotto la sua direzione: i magistrati vennero rinviati a giudizio ma il coinvolgimento di Kovesi non fu mai dimostrato. «È solo una vendetta politica, io ho sempre rispettato la legge».

Il suo siluramento da parte del ministero non ha certo sfibrato la proverbiale combattività e la disinvoltura con cui utilizza i mezzi di comunicazione per dare forza alle sue battaglie: «Dobbiamo sradicare la corruzione, chiedo a tutti i cittadini onesti di non abbandonarmi», disse in un intervista rilaswciata a caldo. Migliaia di rumeni scesero per le strade delle principali città raccogliendo l’indignato appello della procuratrice, manifestazioni mai viste con numeri che ricordarono le adunate oceaniche per la caduta del regime di Ceausescu e che fecero tremare tutto il sistema politico. «La Romania come il Nicaragua», uno degli slogan più gettonati da quel movimento che per mesi occupò le piazze del paese, scontrandosi a più riprese con le forze dell’ordine e scandendo il nome di Laura Codruta Köves, eroina del popolo, ma non certo per caso.