Ventidue e venti anni di reclusione: sono pesantissime le condanne inflitte a Fabio e Nicola Riva, ex proprietari dell’Ilva e figli dello scomparso patron Emilio, dalla Corte d’assise di Taranto, al termine del primo grado del processo per quello che, secondo i giudici, è un disastro ambientale procurato. Condanna a 21 anni per l’ex responsabile relazioni esterne del colosso siderurgico Fabio Archinà, e fa rumore anche quella a 3 anni e mezzo, per concussione, pronunciata nei confronti dell’ex governatore pugliese Nichi Vendola. Che dopo la lettura del dispositivo ha avuto parole durissime per i magistrati pugliesi: «Mi ribello a una giustizia che calpesta la verità».

A quasi nove anni dal sequestro degli impianti e dai primi arresti e a cinque dall’avvio del processo, la Corte presieduta da Stefania D’Errico, dopo quasi due settimane di camera di consiglio ha dunque confermato ieri l’impianto accusatorio della Procura che, nell’indagine “Ambiente svenduto”, aveva contestato ai 47 imputati (44 persone fisiche e 3 società) reati che andavano dal disastro ambientale all’avvelenamento di sostanze alimentari, all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. La sola lettura del dispositivo è durata qualcosa come un’ora e 40 minuti, anche per il gran numero di parti civili. Le motivazioni della sentenza fra sei mesi. Oltre a diverse provvisionali, disposta la confisca degli impianti siderurgici, che però non avrà al momento conseguenze sulla funzionalità dell’acciaieria.

«Del merito di questa sentenza, tanto incredibile quanto ampiamente preannunciata, parleremo con le nostre impugnazioni. Mi interessa solo richiamare l’attenzione sulla dimensione scenografica della lettura del dispositivo», è la reazione di Gian Domenico Caiazza, presidente dei penalisti italiani, che al processo Ilva difende Archinà. «In prima fila, al centro dell’aula, solo un lungo e comodo banco per l’accusa. Per la difesa neanche un simbolico strapuntino. Una foto perfetta di questo processo», denuncia Caiazza, «una vicenda interamente appaltata alla pubblica accusa, nella quale la difesa ha rappresentato un inevitabile intralcio. Mai visto uno spettacolo del genere in tutta la mia carriera di avvocato».

Ma se l’avvocato che presiede l’Ucpi si sofferma su una sorta di lapsus prossemico, l’ex governatore della Puglia attacca a testa bassa il merito stesso della sentenza: «Mi ribello a una giustizia che calpesta la verità: è come vivere in un mondo capovolto, in cui chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l’ombra di una prova. Una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare colpisce noi che dai Riva non abbiamo preso mai un soldo, che abbiamo imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali. Questa sentenza», scandisce Vendola, «rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata. Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia». E ancora: «Ho taciuto per quasi 10 anni, ora non starò più zitto». Meno incendiario il commento dell’avvocato Luca Perrone, difensore di Fabio Riva: «Non c’è mai stata alcuna forma di dolo, solo lo sforzo continuo di adeguare gli impianti». Il processo ha riguardato la gestione Riva sino al 2013. Vendola rispondeva di concussione aggravata per aver esercitato pressioni su Arpa Puglia affinché ammorbidisse i suoi report sulla fabbrica. Assolto l’ex presidente del cda Ilva Bruno Ferrante, già prefetto di Milano ( per lui i pm avevano chiesto 17 anni). Mentre Giorgio Assennato, ex dg Arpa Puglia, che aveva rinunciato alla prescrizione, a fronte della richiesta dei pm di un anno, se n’è visti infliggere 2. Prescrizione per l’allora assessore regionale Nicola Fratoianni.

Secondo il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, «lo Stato ha riconosciuto le sofferenze della città», mentre per il governatore della Puglia Michele Emiliano «la giustizia ha finalmente fatto il suo corso». Soddisfazione per la sentenza da ambientalisti e M5S. «Evito ogni commento: come a tutti noto sono un garantista e credo nella magistratura così come vi ha sempre creduto Vendola», le parole di Antonio Leone, pugliese, ex laico Csm.