Già nel corso delle audizioni alla Camera sul ddl penale, l’avvocatura aveva espresso critiche su alcuni del aspetti del testo forse poco “mediatici” ma assai rilevanti per l’attività del difensore. Su due passaggi in particolare, il Consiglio nazionale forense aveva denunciato, con la consigliera Giovanna Ollà, scelte che rischiavano di essere persino «offensive» nei confronti dell’avvocato, o comunque penalizzanti in termini di rischio professionale. Dalla commissione Lattanzi arrivano in proposito proposte di correzione solo parziali: in particolare sull’obbligo di ottenere dall’assistito un nuovo specifico mandato per impugnare una sentenza. Non sembra invece per nulla allontanato il rischio che il legale si riduca a terminale delle notifiche digitali.. Nel primo caso, la preclusione ad agire, nell’interesse dell’imputato, anche se costui non è in grado di formalizzare il mandato, viene intrecciata con proposte di affinare le norme sul “processo in assenza”. Rispetto invece alle notifiche, la proposta emendativa avanzata dalla commissione di esperti corregge solo in minima parte il testo dell’ex ministro Bonafede, e casomai si occupa di prevedere dei “paracadute” per il passaggio, in forma obbligatoria, al processo penale telematico.

La commissione di esperti insediata a via Arenula, e guidata appunto dal presidente emerito della Consulta Giorgio Lattanzi, è stata di fatto una articolazione straordinaria attribuita dalla guardasigilli Marta Cartabia all’ufficio legislativo del ministero. È inevitabile dunque che su alcune scelte strategiche, come quelle relative alle attività del difensore, abbia pesato anche un certo orientamento generale preesistente nelle strutture ministeriali. Adesso andrà chiarito, anche nel corso dell’esame in commissione Giustizia, se i gruppi parlamentari decideranno di assecondare senza particolari critiche ed eccezioni le proposte della commissione Lattanzi. La deputata di “Coraggio Italia” Manuela Gagliardi, avvocato penalista a propria volta, ha depositato ad esempio puntuali proposte di emendamento su mandati “rinnovati” e notifiche al difensore. Andrà dunque verificato cosa decideranno di fare gli altri partiti di governo.

A proposito del divieto di impugnare senza un “input” formale dell’assistito, vale la pena innanzitutto di riportare per esteso la riformulazione così come compare nella “proposta” consegnata tre giorni alla ministra: si delega il governo a “prevedere che il difensore dell’imputato assente possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza; prevedere che con lo specifico mandato a impugnare l’imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnazione; prevedere, per il difensore dell’imputato assente, un allungamento del termine per impugnare”. Cosa c’è di diverso dal testo Bonafede? Pochissimo. Se non l’ultimo periodo della norma, in cui si delegherebbe il governo a introdurre una non già quantificata estensione del termine a vantaggio del difensore il cui assistito risulti assente. Resta intanto l’impressione di una misura concepita in funzione di attività difensive sostanzialmente scorrette, di fantomatici avvocati che impugnerebbero le sentenze di condanna nel proprio esclusivo interesse anziché per assicurare in tutti i modi possibili tutela al cliente latitante, o comunque lontano. Ma dal punto di vista delle garanzie, se non altro, il limite viene innestato in un quadro più razionale.

Innanzitutto, la norma, secondo gli esperti scelti da Cartabia, non dovrebbe più comparire, come oggi previsto dal testo base all’esame di Montecitorio, al primo comma dell’articolo 7, relativo all’appello, ma in um modificato articolo 2- ter da inserire nel ddl, con cui verrebbe rivista la materia del “processo in assenza”. E in questa più generale ipotesi di modifica, Lattanzi e gli altri saggi della commissione propongono di intervenire su un istituto relativamente recente, la “rescissione del giudicato”, attualmentre definita all’articolo 629- bis del codice di procedura penale. Tale istituto, come ricorda la relazione Lattanzi, è attualmente limitato «ai soli casi in cui tutto il processo si sia svolto in assenza dell’imputato». Si propone dunque di rivederlo, in modo che la “rescissione del giudicato” operi anche «per le ipotesi di sentenza di condanna in absentia non impugnata ( data la effettiva mancata conoscenza da parte dell’imputato e, dunque, la mancata predisposizione del mandato specifico ad impugnare) e, quindi, passata in giudicato».

Le proposte risentono della natura di legge delega che in ogni caso la riforma penale manterrà. Viene previsto, dai saggi di via Arenula, che si debba «ampliare la possibilità di rimedi successivi a favore dell’imputato e del condannato giudicato in assenza senza avere avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo, armonizzando la normativa processuale nazionale a quanto previsto dall’articolo 9 della direttiva Ue 2016/ 343» . È un rimando all’ormai mitica direttiva sulla presunzione d’innocenza recepita poche settimane fa dal Parlamento e che contiene appunto anche indicazioni sui “contumaci”. La lettera f) dell’articolato proposto da Lattanzi delegherebbe il governo a modificare le norme sui «latitanti» in modo da poter procedere nei loro confronti anche «quando non si abbia certezza della effettiva conoscenza della citazione a giudizio e della rinuncia dell’imputato al suo diritto a comparire» . Il tutto perché appunto, come imporrebbe la direttiva 343, si dovrà anche modificare l’istituto della “rescissione” in modo che vi possano accedere pure coloro i quali sono divenuti irreperibili e “ignari” dopo aver avuto attivi contatti col difensore in una fase precedente. È tutto molto complicato, visto pure che sulla “rescissione” sarà poi sempre una Corte d’appello a dover valutare le prove di “mancata conoscenza del procedimento”. Si vedrà in Parlamento. Certo è che, anche dal punto di vista degli imputati assenti, si nota come, nella proposta dei saggi, l’appello sia tra le leve preferite per ottenere una deflazione dell’attività penale. Si tratta di capire se davvero, come si legge nella relazione, tutto questo possa avvenire davvero «senza alcun pregiudizio del diritto di difesa»,