E qual è la soluzione per la magistratura? Qual è la riforma? Adesso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiesto di accelerare. Lo ha fatto nel commemorare i 29 anni dalla strage di Capaci. Ha invocato un intervento da completare «sollecitamente» e «in maniera incisiva». Si è riferito al Csm, alle nuove regole sull’ordinamento giudiziario. Ma i tempi saranno brevi come chiede il Capo dello Stato? Sulla carta, il rischio è che si allunghino. Tanto da sforare una fatale deadline: indicata, in questo caso, non dall’Ue ma dal calendario della consiliatura di Palazzo dei Marescialli.

«Esattamente fra un anno la magistratura tornerà alle urne per eleggere i togati del prossimo Consiglio», fa notare Pierantonio Zanettin, ex laico a piazza Indipendenza e, soprattutto, attuale capogruppo di Forza Italia nella commissione Giustizia di Montecitorio. «Se per allora non sarà stata non solo approvata in Parlamento la legge delega ma completato pure l’iter per l’entrata in vigore dei decreti legislativi, rischiamo di doverci sorbire un altro quadriennio con le regole attuali». Esattamente lo scenario che Mattarella considera una catastrofe: lo ha detto la bellezza di due anni fa in un drammatico intervento in plenum, immediatamente successivo al primo “caso Palamara”. Come scongiurare lo scenario? Con un’intesa di maggioranza difficile ma non impossibile. E in cui nelle ultime ore si è fatto strada un nuovo principio- guida: per assicurare maggiore trasparenza nell’autogoverno dei magistrati, va rafforzato il ruolo di cogestione in capo all’avvocatura.

Ma per capire meglio lo scenario e le sue increspature, è il caso di partire dal cronoprogramma. Domani il Movimento 5 Stelle incontra la guardasigilli Marta Cartabia a via Arenula. Esporrà le proprie riserve su alcune proposte avanzate dalla commissione Lattanzi, il gruppo di esperti individuato dalla ministra per riempire di nuovi contenuti la riforma del processo penale. Dalla delegazione pentastellata, composta dai capigruppo nelle due Camere e dal presidente della commissione Giustizia Mario Perantoni, verrà espresso dissenso per alcune modifiche ipotizzate su prescrizione (leggasi superamento della norma Bonafede), limiti all’appello del pm e priorità nei reati da perseguire decise in Parlamento. Senza i 5 Stelle il ddl penale passerebbe comunque, i numeri ci sono, ma Cartabia non vuole creare sacche di disagio nella maggioranza, quindi si sforzerà di trovare un punto di sintesi. Contribuirà a definirlo la lettura della relazione di Giorgio Lattanzi, che sarà depositata giovedì in commissione Giustizia alla Camera ( si era inizialmente ipotizzata un’audizione). Poi ci dovrebbe essere un ultimo vertice con la guardasigilli, aperto all’intera maggioranza: lì la ministra dovrebbe anticipare i propri emendamenti, elaborati sempre a partire dalle ipotesi di Lattanzi.

GLI ATTRITI SUL DDL PENALE CHE ALLONTANANO LA RIFORMA DEL CSM

Sembra un arabesco, ma è una procedura inevitabile, quando in un’alleanza di governo ci sono quasi tutte le forze politiche del Paese. Certo, la tela laboriosissima ricorda anche quanto sia ancora là da venire lo sprint decisivo sul Csm. Prima andranno risolte le divergenze sul ddl penale, più strettamente connesso con il Recovery, poi si potrà passare alla revisione dell’ordinamento giudiziario.

Testo, quest’ultimo, che è sempre alla Camera, e per il quale dopodomani scade il termine degli emendamenti parlamentari. Non sono ancora pronte, invece, le proposte ministeriali, in corso di definizione a via Arenula, dove è insediata un’altra apposita commissione di studio, presieduta dal professor Massimo Luciani. Se proprio si dovesse correre, anche sulla spinta delle sollecitazioni di Mattarella, si potrebbe arrivare al voto degli emendamenti entro luglio, prima della pausa estiva, comunque dopo la chiusura del lavoro in commissione sul ddl penale. Ma in fondo, considerato che gli stessi dossier — penale e Csm — sono rimasti al palo per i primi tre lunghi anni di legislatura, ci sarebbe anche poco da lamentarsi. Tanto più che una prospettiva di sintesi, per le nuove regole sui magistrati, comincia a farsi strada, ed è in parte legata a un maggior peso da riconoscere all’avvocatura nelle attività di “cogestione” dell’ordinamento.

Lo si coglie innanzitutto dalla proposta avanzata dal Pd a proposito dei Consigli giudiziari, i “mini- Csm” presenti in ogni distretto di Corte d’appello che concorrono all’autogoverno delle toghe e che, come il Consiglio superiore vero e proprio, annoverano anche avvocati e professori. Già l’ex guardasigilli Bonafede aveva previsto, nel suo ddl, di istituzionalizzare il diritto dei laici a partecipare anche alle delicatissime riunioni in cui, in quegli organismi, si discute della professionalità di giudici e pm, e dei relativi pareri da trasmettere al Csm, a loro volta decisivi per gli scatti di carriera e la verifica del “merito” ( che attualmente si risolve in giudizi di eccellenza per il 99 per cento dei magistrati). Come riportato dal Dubbio, il Pd chiede di ampliare la riforma e introdurre, per avvocati e professori, una riforma che l’avvocatura, il Cnf innanzitutto, auspica da tempo: il diritto di voto. Ecco: in proposito il capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia Pierantonio Zanettin spiega al Dubbio: «Anche noi abbiamo predisposto emendamenti analoghi a quelli annunciati dal dem Alfredo Bazoli, il quale lo ha fatto in una veste doppia, visto che è anche relatore del ddl delega in commissione. Credo sia chiaro a tutti come il cosiddetto sistema di autogoverno della magistratura abbia dimostrato, a partire dal caso Palamara, la propria inadeguatezza, e come sarebbe utile estendere la partecipazione organica dell’avvocatura in vista di una maggiore trasparenza, di una minore preponderanza delle logiche correntizie».

PRATICHE PER LE NOMINE “REDATTE” DA TECNICI LAICI: L’ALTRA INNOVAZIONE

Analoga convergenza ci sarà, tra i partiti di governo, su un’altra innovazione prevista da Bonafede nel testo base sulla magistratura: la possibilità di reclutare, per concorso, avvocati e magistrati anche nell’Ufficio Studi del Consiglio superiore. Vorrebbe dire che figure estranee alla magistratura, e dunque alle correnti, potrebbero preparare materialmente le pratiche da cui dipendono magari le nomine al vertice di importanti Procure: altro colpo al sistema delle appartenenze che ha alterato l’autogoverno delle toghe e spinto Mattarella a quel richiamo così severo. Ultima osservazione: mentre sul penale il Movimento 5 Stelle è distante da quasi tutti gli altri partiti, sul ridimensionamento delle correnti è invece, come si capisce dalla genesi di queste riforme, in sintonia col resto della maggioranza. Sullo stesso diritto di voto ipotizzato dal Pd arriva conferma di un «interesse di massima» da parte dei pentastellati.

In attesa di capire cosa sarà di ipotesi più ambiziose come i referendum del Partito radicale e della Lega, la condivisione fra magistrati e avvocati nell’autogoverno è, fra le stesse correnti, una ricetta assai meno impopolare di quanto si potrebbe pensare. Lo segnalano tra l’altro (oltre alle interviste a due rappresentanti dell’Anm pubblicate in altra parte del giornale, ndr) le riflessioni che ieri l’agenzia AdnKronos ha raccolto da uno dei più importanti leader dell’associazionismo giudiziario, il segretario della corrente progressista “Area” Eugenio Albamonte. Il quale ha ricordato: «I referendum sulle carriere e sulla responsabilità civile o le commissioni d’inchiesta sui magistrati non creano quel clima di collaborazione tra la politica e le altre istituzioni, la magistratura e l’avvocatura, per una riforma il più possibile condivisa». Perché, attenzione, «i magistrati, insieme agli avvocati, consapevoli dei problemi, contribuiscono a discutere sulle risposte che il Parlamento e il ministro intendono dare». Il che equivale a dire che, nell’ottica di Albamonte, il futuro dell’autogoverno sarà sempre più basato sulla condivisione fra Magistratura e Foro, per evitare la «invasività delle correnti». In fondo è un assist al legislatore per un gol meno acrobatico ma anche meno improbabile del previsto.