Durante la notte del 22 maggio scorso si è tolto la vita mentre si trovava in isolamento nel centro di permanenza e rimpatrio (Cpr) di Torino, nel famigerato “ospedaletto”, anche se il nome richiama l’assistenza sanitaria, in realtà – secondo diverse associazioni che si occupano dei Cpr come la campagna LasciateCIEntrare - si tratta di celle, lontane dall’infermeria, da cui difficilmente si riesce a chiamare eventuali soccorsi.Il suo nome è Musa Balde, ha 23 anni ed è originario delle Guinea. Il 9 maggio Balde ha subito una violenta aggressione a Ventimiglia, tre cittadini italiani lo hanno preso a colpi di spranga e bastone, pare in seguito al tentato furto di un telefono. Un video diffuso sui social mostra il brutale pestaggio, mentre chi registra il video dalla finestra di un palazzo urla “lo ammazza”, “lo ammazzano”, “lo sta ammazzando, scendete!”. I tre italiani sono stati denunciati per lesioni, mentre Balde, la vittima, già destinatario di un provvedimento di espulsione, sembrerebbe essere stato prelevato direttamente dall’ospedale e portato al Cpr di corso Brunelleschi.Balde non riusciva a capire perché fosse stato rinchiuso in quella struttura. L’ultima persona ad avere parlato con lui è stato il suo avvocato difensore, Gianluca Vitale, che notando la fragilità del suo stato psicologico aveva infatti chiesto una perizia a un importante centro che si occupa di vulnerabilità psichica dei migranti. Nulla da fare. Sabato notte si è impiccato con un lenzuolo. L'intervento del Garante nazionale e del deputato di +Europa Riccardo Magi Sulla vicenda interviene il deputato di +Europa - Radicali Riccardo Magi. «Come è stato possibile disporne non solo l’espulsione in un paese tutt’altro che sicuro come la Guinea ma perfino il trattenimento in un Cpr? Come è stato possibile che non sia stata considerata quantomeno una condizione di vulnerabilità del ragazzo che aveva subìto un pestaggio brutale che era stato al centro delle cronache delle scorse settimane», si chiede il deputato radicale. Interviene anche il Garante nazionale delle persone private della libertà. «Più volte ho ribadito l’inadeguatezza dei Cpr, in particolare la struttura di Torino si caratterizza per l’assoluta inaccettabilità della parte cosiddetta “Ospedaletto”, dove il ragazzo era trattenuto. Lo abbiamo segnalato più volte alla prefettura – sottolinea a Redattore Sociale il Garante Mauro Palma -. In questo caso siamo di fronte a una situazione molto particolare. Mi lascia molto perplesso che sia stata questa la risposta dello Stato a una persona che aveva subito violenza. Mi chiedo se la sua fragilità sia stata presa in carico, era un obbligo dell’ente gestore. Che supporto è stato dato a questo ragazzo? Dobbiamo chiedercelo innanzitutto come collettività, perché c’è una responsabilità collettiva in questa storia». Balde e gli altri, quei suicidi rimasti senza risposta La Procura di Torino ha aperto un’inchiesta per vederci chiaro, ma non si tratta del primo morto nel Cpr di Torino nell’area dell’ospedaletto. La campagna LasciateCIEntrare ricorda Hossain Faisal, bengalese di 32 anni, vittima di violenza all’interno dello stesso centro e posto in isolamento punitivo per 22 giorni, senza possibilità di chiedere aiuto visto che i campanelli di allarme vicino ai letti non erano funzionati. Venne trovato morto tra il 7 e l’8 luglio 2019, per arresto cardiaco. Il 10 luglio 2020 un giovane albanese, incensurato, si appropria di una bicicletta incustodita dopo avere bevuto un po’ a una festa di compleanno. Dopo l’intervento delle forze dell’ordine viene arrestato per resistenza, sebbene passiva, patteggia un anno con liberazione immediata e sospensione della pena, ma una volta liberato viene immediatamente portato nel Cpr di Gradisca perché i suoi documenti erano scaduti. Dopo pochi giorni, Orgest Turia, albanese di 28 anni, è stato trovato senza vita in una cella di isolamento in cui si trovava per il periodo di quarantena, mentre il suo compagno di cella, cittadino marocchino, era in stato di incoscienza. L’autopsia ha accertato la causa della morte per un’overdose di metadone. L’avvocato difensore incaricato dalla famiglia ha sollevato perplessità su come il giovane potesse essere entrato in possesso di quella sostanza e per di più in quantità tale da provocare la morte. Ma questa domanda attende ancora una risposta.