La dottoressa Silvia Albano, giudice al Tribunale civile di Roma, durante l'ultima riunione del Cdc dell'Anm si è espressa contro la mozione sfavorevole al diritto di tribuna e voto degli avvocati nei Consigli giudiziari sulle valutazioni di professionalità dei magistrati. Ce ne parla a titolo personale perché AreaDG, alla quale è iscritta e con cui è stata eletta nel Cdc, è contraria al diritto di tribuna mentre Magistratura democratica a cui pure è iscritta è favorevole al diritto di tribuna ma ancora non ha espresso parere sul diritto di voto. Perché ha votato contro la mozione? Innanzitutto per il ruolo che gli avvocati hanno nell'esercizio della giurisdizione: sia per il compito che assumono nel processo sia per la loro fondamentale funzione istituzionale. Non a caso il costituente, nel pensare alla fisionomia del Csm, ha inserito un terzo di membri laici; questo perché l'autogoverno non può essere solo un affare interno alla magistratura, fermo restando che l’autogoverno è uno dei pilastri a garanzia dell’autonomia e indipendenza della magistratura. Inoltre, non possiamo pensare che il singolo voto di un avvocato possa minare la nostra indipendenza e imparzialità, quando il consiglio giudiziario è molto più numeroso; si tratterebbe quindi di una componente laica del tutto minoritaria rispetto alla componente togata. Pensare che i magistrati possano farsi intimidire dal fatto che gli avvocati siano presenti e votino mi sembra un argomento offensivo nei confronti della nostra categoria. Di cosa abbiamo paura? Della trasparenza? Dovremmo avere una profonda esigenza di trasparenza nelle scelte dell'autogoverno e nelle valutazioni di professionalità, le quali non credo debbano essere effettuate nel chiuso delle nostre stanze. Soprattutto in una fase in cui è necessario recuperare credibilità e fiducia nella magistratura la trasparenza deve essere garantita in tutte le scelte del suo autogoverno. Il sistema Palamara ha fatto emergere come le nomine per gli incarichi direttivi siano maturate non per meriti ma per appartenenza alla corrente più forte. Non penso affatto che tutti gli incarichi siano stati assegnati con quel metodo. Quello che è emerso è che alcune nomine sicuramente hanno risentito di pressioni e logiche spartitorie. È vero comunque che le valutazioni di professionalità segnano una carenza, una difficoltà a far emergere criticità. Da questo punto di vista la possibilità di segnalazioni da parte dei Consigli dell'Ordine ha un po' fallito. Noi invece dobbiamo dimostrare di non temere di discutere delle nostre valutazioni di professionalità alla presenza del mondo accademico e forense, a maggior ragione se per l'avvocatura ci fosse un rappresentante istituzionale del Consiglio dell'Ordine. Non si può pensare che le informazioni che si raccolgono poi potrebbero venire utilizzate nei singoli processi contro il giudice scomodo: mi sembra una preoccupazione eccessiva che tradisce una sfiducia profonda nel ruolo istituzionale che i Consigli dell’Ordine sarebbero chiamati a svolgere. Noi dobbiamo essere consapevoli della delicatezza e importanza del ruolo che svolgiamo e questo in un sistema democratico richiede massima trasparenza, nonché piena fiducia e collaborazione tra tutti i componenti dell'autogoverno e tutti gli attori della giurisdizione per poter rassicurare l'opinione pubblica circa la serietà delle valutazioni. Tenuto conto che anche l'argomento della reciprocità è abbastanza risibile. Si obietta che i magistrati non hanno lo stesso ruolo nei Consigli dell'Ordine. Ma gli avvocati non hanno il potere che ha la magistratura. Ad un potere di queste dimensioni deve corrispondere un dovere di trasparenza e un’assunzione di responsabilità di fronte alla società. Inoltre proprio per il ruolo che l’avvocatura svolge nell’esercizio della giurisdizione la legge professionale prevede che nei procedimenti disciplinari per gli avvocati sia previsto un ruolo molto pregnante del pubblico ministero.