Le riforme del processo penale e civile attualmente al vaglio del governo rischiano di mortificare le garanzie di difesa e l’accesso dei cittadini alla Giustizia. Il tutto senza raggiungere l’indispensabile obiettivo di ridurre i tempi del processo, così come richiesto dall’Europa, condizione indispensabile per l’erogazione dei fondi del Recovery Fund. È un giudizio netto quello espresso ieri dal Consiglio nazionale forense, che si è pronunciato negativamente sui progetti di riforma. Il tutto per un’impostazione che, puntando sulla modifica dei riti, dimenticherebbe il rafforzamento degli uffici, senza il quale, lamenta il massimo organo dell’avvocatura, il rischio è che tutto finisca in un nulla di fatto. I rilievi del Consiglio nazionale forense «Il Consiglio nazionale forense reputa non condivisibile l’approccio alla riforma del processo civile e del processo penale così come deducibile dalle anticipazioni delle proposte di emendamenti del governo al ddl delega di riforma del processo civile e dalle anticipazioni di stampa per quanto riguarda l’impianto del processo penale - afferma Maria Masi, presidente facente funzione del Cnf -. La riforma della giustizia deve mirare ad un nuovo e rinnovato approccio di sistema. L’obiettivo perseguito, ossia la riduzione del 40% dei tempi del processo civile e del 20% di quelli del processo penale, così come richiesto dalla Commissione europea, ammesso che possa considerarsi coerente con i principi invocati dall'Onu nell’Agenda 2030 di sostenibilità e solidità delle istituzioni e di assicurare a tutti l’accesso alla giustizia, non potrà, comunque, raggiungersi se oltre ad intervenire sulle regole del processo non si agisce coraggiosamente anche sull’organizzazione degli uffici giudiziari, sugli investimenti funzionali e sulla carenza di organico di magistrati e personale amministrativo, oltre che sull'equa responsabilizzazione di tutti gli operatori, compresi i magistrati». Processo penale Per quanto riguarda il processo penale, il progetto della “commissione Lattanzi” punta a ridurre i tempi con l’estensione dei riti alternativi, in primo luogo il patteggiamento, con uno sconto di pena della metà anziché di un terzo, introducendo però anche una disciplina più restrittiva per le impugnazioni in appello, associata all’inappellabilità, per il pm, delle assoluzioni. Tra le novità anche la videoregistrazione degli interrogatori e criteri di priorità per i pm, mentre sono due le ipotesi per la prescrizione: un ritorno sostanziale alla riforma Orlando, con la sospensione in appello di due anni anziché un anno e mezzo, e con un anno di stop in Cassazione, e recupero del tempo “congelato” in caso di sforamento, oppure un mix fra prescrizione del reato, che esaurirebbe i suoi effetti alla richiesta di rinvio a giudizio, col subentrare dell’improcedibilità per sforamento dei termini di fase, che riguarderebbe tutti gli stadi del processo, compreso il primo grado. Processo civile Per quanto riguarda il civile, invece, tra i temi toccati dagli emendamenti elaborati dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia vi è quello della risoluzione alternativa delle controversie, per i quali il Governo ritiene «decisiva» una riforma degli strumenti stragiudiziali di risoluzione che si ponga nel solco della coesistenza e complementarietà delle due vie - giudiziale e stragiudiziale - per l’ampliamento della risposta di giustizia. C’è poi una «estensione mirata» della mediazione obbligatoria, anche con incentivi fiscali, e l’ampliamento dei casi nei quali si può ricorrere alla negoziazione assistita, nonché la revisione della fase introduttiva del giudizio di cognizione dinanzi al tribunale e una rideterminazione della competenza del giudice di pace in materia civile. Altri emendamenti riguardano l’arbitrato, l’ufficio del processo, le impugnazioni dei licenziamenti, l’introduzione di un rito unificato sui procedimenti su famiglia e minori e alcune norme, immediatamente precettive, in tema di esecuzioni e famiglia. Masi: «I tempi ragionevoli e soprattutto la qualità della giustizia non sono perseguibili solo con l'ennesima riforma delle norme di rito» Sono diversi i punti contestati dall’avvocatura, contraria, giusto per fare un esempio, alle previsioni di obbligatorietà degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, la cui utilità sarebbe assicurata da una libera adesione agli stessi e dagli incentivi. «I tempi ragionevoli e soprattutto la qualità della giustizia – ha sottolineato Masi - non sono perseguibili solo con l'ennesima riforma delle norme di rito in cui, ancora una volta, sono i cittadini a rischiare di pagare il tributo più alto. In nome di una presunta riduzione dei tempi del processo il rischio è quello di sacrificare il diritto di accesso alla giustizia e le garanzie di difesa». D’altronde, nel suo documento di proposte lungo 111 pagine, consegnato all’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il Consiglio nazionale forense si era posto un obiettivo: una giustizia al servizio non dell’economia ma della persona. E ciò sulla base di tre pilastri, razionalizzare l’esistente, migliorare l’organizzazione giudiziaria con nuove figure professionali, come il “court manager”, e rafforzare la specializzazione di quelle che già esistono, magistrati inclusi. «Ben vengano l'attenzione alla digitalizzazione e il rafforzamento dell'ufficio del processo» per recuperare «efficienza e competitività», aveva affermato solo pochi giorni fa Masi, tuttavia, «se sono condivisibili gli interventi sul processo esecutivo e la volontà di rendere più scorrevole e concentrata la cognizione ordinaria, non può non rilevarsi come manchino proposte di ampio respiro volte a migliorare la qualità complessiva della decisione giudiziaria». Quanto alla riforma del processo penale, il Cnf ha respinto «fermamente ogni proposta di correttivi che abbia ricadute sulla effettività del diritto di difesa costituzionalmente garantito e che si traduca in un ostacolo all'accesso alla giustizia, come l'ipotesi normativa di riforma delle impugnazioni».