Non ho niente contro il ponte. Anzi. Ha sempre fatto parte della mia vita. Mia madre da bambino a Reggio mi portava in via Marina Bassa, dirimpetto a Messina. M’insegnava a contare usando i vagoni di treni lentissimi ( non ancora interrati sotto il Lungomare Falcomatà, forse uno dei più belli d’Italia) che arrivavano dalla Sicilia al porto per risalire la Locride e lo Jonio o viceversa. La conclusione, lei sapeva che l’aspettavo con ingordigia, era sempre uguale: «Tu non farai su e giù col traghetto. Una bella passeggiatina a piedi o in bicicletta sul ponte e sei subito dall’altra parte». Il Ponte, da queste parti, è sempre stato un mito. L’ha creato la natura. A guardare da uno dei due lati, Messina e Reggio, Calabria e Sicilia, sono troppo addosso per non essere attaccate: impossibile non vi sia un modo per andarci a piedi. Per questo reggini e messinesi hanno rubato il mito di Fata Morgana ( che è celtico) che illude tutti ( specie turisti e forestieri) di poter raggiungere l’altra parte camminando sull’acqua. Il guaio è che i miti una volta creati hanno una potente forza inarrestabile di espansione e non li ferma più nessuno. Solo il tempo, modificando le condizioni storiche li rende banali fino a distruggerli. È andata così anche con Icaro: ha retto millenni fin quando sono arrivati gli aerei ridicolizzandolo.

Da quasi mezzo secolo non c’è presidente del Consiglio italiano che non abbia pensato, almeno per un po’ e magari senza dirlo, di potersi consegnare alla storia dei millenni futuri come il costruttore del Ponte. Un rigo prezioso della biografia da consegnare ai posteri. Craxi ma anche D’Alema ( che rifinanziarono la Società dello Stretto incaricata del progetto), Prodi e Renzi per non dire di Berlusconi, che si dice abbia personalmente gettato la prima pietra del Ponte esattamente in mezzo allo Stretto per non inimicarsi siciliani o calabresi scegliendo l’altra costa.

Piano piano in modo inesorabile la politica s’è impadronita del mito e l’ha usato per ricavarne vantaggi. Soprattutto, per non affrontare i problemi connessi a questo angolo d’Italia. Così ogni volta che è affiorato il disagio sempre più grave del Sud del Mezzogiorno, il Sud del Sud d’Italia sotto un’ipotetica linea tirata tra Salerno e Bari, giù a dire che ci vuole il Ponte. Chi volete che dica di No? Perfino Salvini, col Ff del presidente della Regione Calabria, ha fatto sparire il vecchio slogan “Forza Etna”, che ha infuriato decenni tifando per una potente eruzione del grande vulcano per risolvere i problemi di questa zona, ora invoca e vorrebbe subito inaugurare i cantieri di un Ponte ad unica arcata: quello più spettacolare.

Ma è solo pubblicità nella quale sono tutti impegnati, con la sola esclusione degli ambientalisti che lo fanno con la furia di chi non vuole accettare che un modo per attraversare stabilmente lo Stretto prima o poi bisognerà pur tirarlo fuori. E il punto è proprio questo: la foga pubblicitaria e strumentale si conclude nella chiacchiera mentre nessuno sembra essere veramente interessato a fare quel che serve per rendere veramente ineluttabile una qualche forma di attraversamento stabile di quel pezzetto di mare. La prova della verità rispetto al Ponte sta prima e dopo della breve striscia di cemento, intubata o all’aria aperta, necessaria. Oggi per raggiungere lo Stretto da Roma s’impiega un tempo insopportabilmente lungo. Gli investimenti previsti entro i prossimi 12 anni dovrebbero consentire un Roma Villa Sg “soltanto” in poco più di 4 ore piene mentre già da dieci anni fa il Roma Milano impiega tre ore ( ma tra 10 anni tra Roma e Milano potrebbero bastare 30 minuti con l’hyperloop: un treno dentro una capsula a induzione magnetica dentro un tubo vuoto).

Ma c’è di peggio: tutti gli investimenti per le ferrovie in Sicilia prevedono tempi di percorrenza dei primi decenni del Novecento. A investimenti eseguiti da Catania a Palermo ci vorrebbero due ore. Da Messina a Palermo un’eternità. Ceto politico, imprenditori, dipendenti di fascia alta non prendono un treno dalla Sicilia o per la Sicilia da decenni e non hanno più memoria storica dei disagi da affrontare. A che serve dire di voler attraversare lo Stretto rapidamente se per imboccarlo o una volta attraversato a Nord e a Sud i tempi restano quelli ormai inaccettabili del secolo scorso? Serve ad alimentare un mito che è sempre bello e non costa nulla. O, se proprio si dovesse costruire qualcosa, ad aspettare i turisti giapponesi che verrebbero (forse) a frotte con le loro macchine fotografiche.