«Mi pare di capire che siamo alla fine di alcune pantomime: 1) Zingaretti che dice che non sarebbe serio candidarsi mentre gestisce una regione durante una pandemia con la stessa veemenza con cui dichiarava "mai con M5s, ci sono solo le elezioni"; 2) le primarie intoccabili, che verranno spostate a uso e consumo del Candidato; 3) l’alleanza con M5s. Dopo 18 mesi di incensamento di Conte, Zingaretti se lo troverà contro alle elezioni. E dovrà anche regalargli la Regione Lazio. Tutto bene: coerenza, serietà, schiena dritta. Aggiungerei la discontinuità e la linea riformista del tandem Letta/Boccia. O Boccia/Letta. A seconda della prospettiva». Così Carlo Calenda, leader di Azione e candidato a sindaco di Roma, nel week end decisivo per il puzzle delle amministrative e per l’alleanza Pd-M5S al voto di autunno. Da giorni le trattative e i contatti sono serrati. Enrico Letta ieri era a Pisa ma con Francesco Boccia segue la partita in prima persona. «Siamo al lavoro fino all’ultimo per la soluzione migliore». Per sciogliere il nodo Roma, innanzitutto. Con la possibile candidatura di Nicola Zingaretti. Una partita che a cascata può agevolare soluzioni anche in altri grandi città al voto. In ambienti dem c’è chi scommette che il presidente della regione Lazio possa sciogliere la riserva a breve. Per farlo, Zingaretti ha posto una serie di condizioni. Innanzitutto sulla "tenuta" della giunta nel Lazio. E qui l’impegno spetta ai 5 Stelle. Tuttavia la complicata situazione in cui versa il Movimento e il consenso di parte dei 5 Stelle attorno a Virginia Raggi non facilitano il quadro. Ed inoltre da ambienti grillini in regione trapelano non poche perplessità sull’operazione. Ieri però una spinta nella direzione dell’accordo Pd-M5S è arrivata dal leader in pectore, Giuseppe Conte. In una riunione via Zoom con i 5 stelle torinesi, l’ex-premier ha rilanciato l’alleanza con i dem nel capoluogo piemontese ma non solo. Conte ha parlato di «disegno politico unitario e complessivo». L’ex-premier ha annunciato che chiederà «un confronto con tutte le anime che hanno dato il loro contributo nell’esperienza del Governo Conte II, e dall’esito di tale confronto dipenderanno anche le scelte sui territori». Scelte che andranno fatte insieme, ha sottolineato Conte: «Ogni scelta locale dovrà essere fatta insieme perché non è pensabile che una forza politica di respiro nazionale possa poi affidarsi a una gestione esclusivamente atomistica e parcellizzata delle realtà locali, perdendo completamente di vista il senso di un disegno politico unitario e complessivo». Tuttavia il rilancio dell’alleanza Pd e M5S fatto da Conte con i 5 Stelle a Torino (hanno partecipato anche il reggente Vito Crimi, la sindaca Chiara Appendino e la viceministra Laura Castelli, oltre a parlamentari, consiglieri regionali e comunali) arriva fuori tempo massimo. A Torino i dem locali - di cui buona parte è ostile all’alleanza con i grillini - sono già partiti con le primarie del centrosinistra. Arrivare a una candidatura unitaria sembra ormai un’ipotesi archiviata. Al contrario di Napoli dove prosegue il lavoro del "laboratorio" partenopeo che va da Pd a M5S passando per Verdi, socialisti, repubblicani, varie sigle moderate e sinistra. La coalizione è pronta. Manca solo il candidato e il bivio è tra Gaetano Manfredi e Roberto Fico che deve però ancora superare alcune perplessità, tra cui quella sul disastrato bilancio partenopeo. Eppure anche a Napoli le acque sono tutt’altro che tranquille. Un paio di giorni fa si è rischiato uno strappo clamoroso dei "deluchiani" che, senza consultare né Pd né alleati, hanno presentato un documento poi ritirato per la candidatura di Manfredi. Tensioni in cui si inserisce Italia Viva che anche oggi ha rilanciato la strada delle primarie «della coalizione che alle ultime elezioni regionali ha sancito la schiacciante vittoria di Vincenzo De Luca». Senza i 5 Stelle, quindi. A Bologna invece il Pd se la canta e se la suona da solo. Ieri l’assessore dem Alberto Aitini si è schierato alle primarie a sostegno di Isabella Conti (indipendente ma candidata da Matteo Renzi) contro il compagno di partito, Matteo Lepore. «Si è messo fuori dal Pd -è il commento di un big del Nazareno all’Adnkronos-. Almeno ha avuto il buon senso di dimettersi da segretario cittadino. Però ora faccia il passo successivo, esca dal partito visto che è pagato dal Pd come funzionario».