«Soccorrere i migranti è un dovere, lo dice la legge. E la solidarietà, come diceva Rodotà, non è un sentimento, ma un diritto. Parole che ripeto ovunque sia possibile». Armando Spataro, ex procuratore della Repubblica di Torino, ha le idee chiarissime: fermare le navi con migranti che arrivano in Italia poiché tra loro potrebbero nascondersi dei terroristi è giuridicamente insensato. E le norme stesse, interne o sovranazionali, sono chiare sul punto: i porti possono chiudersi solo per precise ragioni di sicurezza, non per ipotesi indimostrate. Proprio per questo, spiega al Dubbio, al di là di tante incriminazioni rivelatesi infondate, voler limitare le attività delle Ong è «un’assurdità». Dottor Spataro, nel Mediterraneo, pochi giorni fa, sono annegate 130 persone, nonostante i ripetuti allarmi lanciati da Alarm Phone. Ma come funziona il diritto del mare? La tragedia di cui parla è solo l’ultima in ordine temporale, speriamo lo sia anche in assoluto. La disciplina delle attività di soccorso è abbastanza lineare, ma è anche vero che il coordinamento tra Stati, che l’Europa dovrebbe promuovere, spesso non funziona o non funziona bene. La regola è questa: ogni Stato costiero ha un’area marittima di propria competenza che si chiama Sar - Search And Rescue -, che è più ampia del limite del mare territoriale e deve dotarsi di un centro di coordinamento. Quando si manifesta un pericolo, viene lanciato un allarme e il centro del Paese che lo riceve, deve immediatamente avvertire quello del Paese nella cui area Sar l’evento si è verificato. In questo modo, il centro competente dà istruzioni alla nave che ha compiuto il salvataggio per trasportare i naufraghi, con la massima urgenza, nel porto sicuro, più vicino. E se non vi sono navi in zona, bisogna inviare immediatamente la segnalazione affinché un mezzo di soccorso si rechi sul posto. Nel momento in cui le persone vengono salvate e la nave che le trasporta giunge in un porto sicuro, scatta la normativa dello Stato di approdo, che in genere – come in Italia prevede l’identificazione, le visite sanitarie, il soccorso prioritario a minori, donne, malati, la selezione di coloro che richiedono asilo (per cui dovrà essere avviata la relativa procedura) e di quelli che dovranno eventualmente essere rimpatriati, e così via. Purtroppo questo sistema, che sulla carta sembra abbastanza semplice, per più ragioni non funziona. Perché non funziona? Perché manca un coordinamento efficace e spesso entrano in ballo anche questioni politiche. Ad esempio, se le Nazioni Unite e altre istituzioni umanitarie sostengono che la Libia non ha porti sicuri, è ovvio che le navi che soccorrono i naufraghi devono essere indirizzate altrove. Ma questo, politicamente, crea difficoltà. Nell’ultimo caso, stando a quanto riportano le cronache, pare siano trascorse oltre 24 ore tra la segnalazione d’allarme e il verificarsi della tragedia e in questo lasso di tempo sembra che non siano state avviate attività di soccorso. E questo è inaccettabile, perché come si legge in un bellissimo appello delle Ong a Draghi, che personalmente ho sottoscritto, il soccorso in mare non è affatto un optional, è un obbligo degli Stati, un obbligo giuridico che riguarda anche le navi militari. Non è solo una questione di etica. Lei ha parlato di “selezione”, che ovviamente non può essere fatta prima dell’arrivo. Gli allarmi sul rischio che tra i migranti si nascondano dei terroristi, dunque, non hanno fondamento? Nulla si può escludere a priori, ma sulla base dell’esperienza, questa è un’affermazione che non ha trovato alcun riscontro, a livello europeo, non solo italiano. Le varie inchieste aperte sono state chiuse con archiviazioni. Peraltro non è corretto, né logicamente né giuridicamente, fermare le barche con i migranti a bordo per il mero sospetto che trasportino terroristi. O la notizia è sicura e riscontrata o non è possibile chiudere i porti solo per un’ipotesi di pericolo. Se, però, la presenza di terroristi a bordo è sicura, la notizia dovrebbe essere inoltrata immediatamente all’autorità giudiziaria competente affinché venga aperta un’inchiesta. Quindi non tocca ad un ministro bloccare una nave perché “potrebbero esserci a bordo dei terroristi”. Sono stati diversi i casi in cui in Italia si è ritardato uno sbarco per questioni politiche e sulla base di norme interne in contrasto con quelle sovranazionali. In queste situazioni si può parlare di illegittima detenzione dei migranti a bordo? Senza entrare nel merito di specifici procedimenti penali in corso, bisogna ricordare che l’Italia è già stata condannata nel dicembre 2016 dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo per ingiustificato ritardo nello sbarco: un trattenimento che la Corte qualificò come privazione della libertà personale senza base legale. Sulle opzioni politiche prevalgono dunque i principi affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla nostra Costituzione che riconoscono il diritto di lasciare il proprio Paese, di chiedere asilo politico altrove, di mutare a cittadinanza ed altro ancora. Stiamo parlando quindi di diritti umani fondamentali e internazionalmente riconosciuti. L’ eccezione riguarda chi è ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e principi della N.U. E numerose convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia prevedono l’obbligo di soccorso in mare. Talvolta ci si richiama allo Stato di bandiera per indicare chi ha tale obbligo. Non funziona così. La nave deve approdare nel porto sicuro più vicino e basta. Poi, che questo sia un problema molto delicato è chiaro: ecco perché serve un intervento dell’Europa. E bisognerà evitare di limitarsi alle belle enunciazioni di principio, si deve agire concretamente. È vero, a mio avviso, che gli obblighi di accoglienza non possono ricadere soltanto sugli Stati costieri. Ma quello del primo intervento, del soccorso, sì. Poi si dovrà in qualche modo disciplinare la distribuzione dei richiedenti asilo in Europa, ma salvare vite umane deve tornare ad essere una priorità e tragedie come quella recente non devono accadere più. Altro aspetto è la criminalizzazione delle Ong. I decreti sicurezza hanno introdotto sanzioni pesanti e vengono indagate perché impegnate a salvare i migranti in mare, nonostante sia un obbligo. Cosa ne pensa? Non è accettabile. Le ultime modifiche ai decreti sicurezza, per lo meno, hanno ridotto le sanzioni amministrative, che però sono ugualmente molto alte. Qualcuno afferma che le Ong agirebbero in concorso con i trafficanti di esseri umani, il che significa dividere gli utili e far parte di un’associazione a delinquere. Anche questa ipotesi non è mai stata dimostrata. Con l’ipotesi subordinata, collegata all’infelice e grave espressione “taxi del mare”, si afferma che, siccome i trafficanti conoscono le zone del Mediterraneo ove operano in genere le Ong, si recano proprio in quelle zone, dove abbandonano i naufraghi, sapendo che le Ong poi li prenderanno a bordo. Una sorta di concorso inconsapevole. È plausibile? I trafficanti di esseri umani vanno comunque perseguiti con fermezza. Ma una nave, in qualunque posto si trovi, deve assolutamente intervenire se vi sono persone in pericolo. Ed in questo caso si tratta di condotta non punibile poiché il nostro codice penale prevede lo stato di necessità (art. 54) e l’adempimento di un dovere (art.51). Dunque, in presenza di necessità di soccorso ai naufraghi in pericolo e dell’ovvio dovere di salvarli, non vi possono essere equivoci: non sussiste reato e la criminalizzazione delle Ong, non è in tali casi possibile. Ultimamente si è assistito anche ad un incremento dei fermi amministrativi. Questo è un problema delicatissimo, perché questo aumento dei fermi amministrativi, che spesso si protraggono troppo a lungo, ha determinato una minore presenza delle navi nel mar Mediterraneo. Non si può pensare che gli standard di sicurezza di una nave in una situazione di normalità possano valere anche in uno stato d’eccezione. Se salvo e porto a bordo centinaia di migranti non si può pretendere che la nave possa avere un numero di salvagenti pari a quello delle persone soccorse. Come ricordato da diverse Corti, il pericolo per i migranti impone certe condotte. E francamente non si può neppure dire che il pericolo inizi solo quando l’imbarcazione in difficoltà è avvistata, mentre basta che arrivi il messaggio con la richiesta di soccorso. Non si può ipotizzare di attendere una conferma visiva. Come giudica l’attuale normativa italiana? Va modificata. Ma soprattutto va modificata a livello europeo. Bisogna mettersi attorno ad un tavolo e lavorare senza ambiguità disciplinando modalità di accoglienza, distribuzione negli Stati europei ed eventuali rimpatri. La speranza è che questo sia possibile, altrimenti continuiamo a rimanere fermi sulle enunciazioni di principio. Sono aumentati i reati d’odio, soprattutto di matrice razzista. Cosa sta accadendo? Parti del ceto politico e dell’informazione hanno responsabilità nell’enfatizzare ed inventare presunti rischi che correrebbe l’Italia a causa dell’immigrazione. E facendo questo si fomentano ragioni di odio, vere e proprie xenofobie. L’immigrazione è un problema mondiale, non riguarda solo l’Italia. Abbiamo conosciuto recentemente atti di violenza nel foggiano e gravi reati anche altrove. Questi crimini d’odio sono indubbiamente favoriti, nella loro espansione, dall’additare il migrante come il nemico del quale ci si deve sbarazzare nel minor tempo possibile o impedire l’arrivo in Italia. Ma in realtà sono risultate false tante affermazioni, mentre, oltre quelle di Rodotà, devono ricordarsi le parole del Papa sul dovere di solidarietà. Ho apprezzato l’atteggiamento del nuovo segretario del Pd, Enrico Letta, che ha ripetutamente affermato la necessità di attenzione ed interventi in ordine al soccorso in mare, al soccorso ai migranti, oltre che dello jus soli, ciò senza alcuna accondiscendenza con gli umori peggiori del nostro Paese. Questo è importante, perché un partito, qualsiasi partito, deve affermare i suoi principi e andare avanti con coerenza, anche a rischio di perdere consensi. Così come certa stampa deve impegnarsi a dare notizie precise e riscontrate, altrimenti si finisce per alimentare l’odio.