Non si spengono le polemiche sugli arresti degli ex terroristi italiani fuggiti negli anni '80 a Parigi. Oggi ne parliamo con il dottor Gian Carlo Caselli, già giudice istruttore a Torino che a lungo si è occupato di inchieste sul terrorismo (Brigate rosse e Prima linea): « per gli esiliati in Francia  la giustizia italiana non ha mai meritato neppure un gesto di accettazione. Ed ecco gli arresti di questi giorni.  Certo, oltre agli arresti  servirebbero altre risposte. Per esempio sui misteri che tuttora avvolgono i casi  Calabresi e Cirillo». Dottor Caselli, qual è il suo parere su questi arresti in Francia? L’arresto di alcuni terroristi, sia pure con  un ritardo di anni e anni, e con la “parentesi” dello scandalo della “facile”  fuga di Battisti, cancella  un retropensiero della Dottrina Mitterand.  Ufficialmente si parlava di  rottura col passato e nel contempo di una  seconda vita nella società francese. In realtà  c’era  anche una  arrogante discriminazione verso il nostro Paese. La grande Francia non accettava di venire a patti con la povera Italia.  Disprezzava la nostra amministrazione della giustizia. Un giudizio fondato su una radicale  - spesso ipocrita - deformazione della realtà. Il terrorismo di sinistra  non è un fenomeno esclusivamente italiano. Ha colpito altre democrazie industriali. Caratteristica esclusiva del nostro Paese è l’ aver dovuto registrare un terrorismo che ha raggiunto capacità offensive  di entità  e ferocia decisamente maggiori e assai più persistenti nel tempo ( le “prime” Br durarono per circa 15 anni).  A colpi di omicidi, gambizzazioni e sequestri di persona, i terroristi  volevano dimostrare che il vero volto del nostro Stato  non era democratico ma spietatamente repressivo, fascista. Non siamo caduti nella trappola,  perché la risposta al terrorismo dal punto di  vista legislativo ha raschiato – lo ha detto più volte la Corte Costituzionale - il fondo del barile della corrispondenza ai principi e precetti costituzionali, ma non è mai andata oltre. Lei è d'accordo con l'idea di Guido Salvini, espressa ieri su questo giornale, per cui le estradizioni sono «giuste» ma al fine di determinare l'esecuzione penale «valutiamo anche se gli ex terroristi sono cambiati e se sono ancora pericolosi»? Non si può che esser d’accordo. Se mai i terroristi arrestati in Francia saranno estradati in Italia, potranno constatare che il nostro, con tutti i suoi  innegabili limiti e difetti, è uno Stato democratico  che rispetta i diritti anche di coloro che lo volevano abbattere, colpendo  persone innocenti,   scelte  dalle catacombe della clandestinità come simboli da eliminare per soddisfare la propria impazienza avventuristica. L'avvocato di Cesare Battisti ma anche Oreste Scalzone, ex leader di Potere Operaio, hanno parlato di "vendetta di Stato". Come replica? Lo stato ha il diritto-dovere di applicare la legge se in giro per il mondo ci sono assassini impuniti,  che  non hanno  mai fatto nulla per riparare i danni causati, in particolare risarcendo in qualche modo le vittime. Non si tratta di mostrare i muscoli sempre e comunque, rifiutando ogni altra via. È giusto, per quanto difficile sia,  cercare  forme di risposta capaci di ricomporre una comunità lacerata  da violenze profonde.  Ma senza sminuire o peggio cancellare il male con un tratto di penna. Il male resta male, quindi nessun buonismo, perdonismo, giustificazionismo. Sarebbe vanificare la giustizia, come in fondo fanno coloro che riconducono gli arresti alla categoria della “vendetta”. A distanza di più di 40 anni secondo Lei è giusto fare i conti con quel passato solo affidandoci a nuovi arresti? In Italia tutti i terroristi , salvo quelli assolutamente irriducibili, sono ormai liberi o godono di semilibertà. Si tratta in alcuni casi di “pentiti”, nella stragrande maggioranza di detenuti che hanno  fruito della legge del 1987 sulla dissociazione. Una legge assai generosa – di fatto una sorta di amnistia -  che  sulla base di  una semplice dichiarazione di abbandono della  lotta armata con generica ammissione dei fatti commessi concedeva robusti benefici di   commutazione   (per es.  dall’ergastolo alla reclusione) e  riduzioni  di pena. Un’opportunità di reinserimento per chi, condannato o  sotto processo per fatti di terrorismo, volesse coglierla.  Gli esiliati in Francia non ne han voluto sapere.  Per loro la giustizia italiana non ha mai meritato neppure un gesto di accettazione. Ed ecco gli arresti di questi giorni.  Certo, oltre agli arresti  servirebbero altre risposte. Per esempio sui misteri che tuttora avvolgono i casi  Calabresi e Cirillo ( due degli arrestati in Francia ne sono stati protagonisti) . Inoltre bisognerebbe una buona volta fare chiarezza sulle contiguità  - a volte coperture  - che un certo mondo ha riservato a chi praticava la violenza politica. Vorrei ricollegarmi ad una frase del cardinale Martini, pronunciata in un discorso tenuto a Milano alla vigilia della festa di Sant'Ambrogio del 2001 :“Chi  di noi ha l’età per ricordare i primi tempi della contestazione (fine anni ‘60- inizio anni ‘70) sa che la noncuranza e la leggerezza ostentata anche da chi avrebbe avuto la responsabilità di giudicare e di punire, rispetto ad atti minori di vandalismo e disprezzo del bene pubblico, ha aperto la via a gesti ben più gravi e mortiferi. Chi getta oggi il sasso e si sente impunito, domani potrà buttare la bomba o impugnare la pistola”. Secondo Lei è possibile salvaguardare, negli stati di emergenza, la sicurezza senza ledere i diritti? Qualcuno sostiene che in quegli anni ci siano stati tribunali e processi speciali. L’accusa di tribunali e processi speciali non regge in generale, ma in ogni caso è contraddetta dai processi che meglio conosco e sui quali posso interloquire con  obiettive certezze: quelli celebrati dalla Corte d’assise di Torino prima ai capi storici delle Br (anni 1976/78) e poi alla colonna Br disarticolata dal “pentimento” di Patrizio Peci (anni Ottanta).  Questi processi si sono svolti con piena osservanza delle garanzie processuali e  della stessa identità politica dei detenuti, ai quali è stato consentito, ad esempio, di “controinterrogare” le vittime dei loro atti criminali (ovviamente quelle rimaste vive). E questo nonostante che le Br avessero concentrato sui processi di Torino un volume di fuoco spaventoso,  uccidendo magistrati, avvocati e poliziotti,  fino alla rappresaglia di stampo nazista sul fratello di Peci, sequestrato e ucciso solo perché fratello del primo brigatista “pentito”. Fu proprio il rispetto delle regole a vanificare l’assunto brigatista che “la lotta armata non si processa”, se non gettando la maschera ipocrita di una falsa democrazia. La caduta di questo assunto, grazie anche al sacrifico dell’avvocato  Fulvio Croce e all’impegno  coraggioso degli avvocati torinesi che dopo la sua morte hanno accettato il ruolo di difensori d’ufficio, determinò nelle Br una profonda crisi politica,  che si combinò con il progressivo isolamento dell’organizzazione. Di qui l’inizio della loro fine.