Con la vittoria di Nomadland della regista Chloé Zhao trionfa laltra America, si è detto, il sogno americano di chi si aggrappa alla sopravvivenza invece che al successo. Tra la delusione per lItalia che ne esce a mani vuote e i lustrini pochi, sulla notte degli Oscar meno spettacolare della storia si è scritto quasi tutto. A noi non resta che tessere lelogio della sconfitta puntando lattenzione su chi lAcademy non ha premiato: tra tutti Time, il docufilm della regista afroamericana Garrett Bradley in corsa per la categoria Miglior documentario. Lo trovate su Prime Video come esclusiva Amazon e vi basta solo unora e mezza per lasciarvi colpire come colpisce un pugno al centro dello stomaco. Anche in questo caso centra il sogno americano, che centra quasi sempre. Ma qui la sopravvivenza e la scalata per lemancipazione sono una cosa sola. Partiamo da una scena di metà film: «Il successo è la miglior vendetta, il successo è la miglior vendetta, il successo è la miglior vendetta». Sibil Fox Richardson, protagonista di questa storia vera, continua a ripeterselo mentre dallaltro capo del telefono unimpiegata frettolosa le fa sapere che suo marito probabilmente resterà ancora in carcere. Ma il giudice non ha ancora trovato il tempo di metterlo nero su bianco, forse lunedì, la cancelleria il venerdì chiude alle 16: «Richiami». Luomo in questione, Rob, si trova recluso in una prigione della Louisiana da quasi ventanni, condannato a 60 per una rapina commessa da giovanissimo in un momento di disperazione. Fuori le porte della banca, in quel giorno che avrebbe cambiato per sempre le loro vite, cera anche Sibil, che di anni invece ne ha scontati poco più di tre. Sibil ha sposato il suo compagno di liceo, e con lui era partita alla ricerca del successo quattro stracci alla mano e un bimbo piccolo. Sibil è afroamericana, come suo marito, per loro nella Grande America «tutto è possibile», ma meno alla portata. Convinti di fare il colpaccio investono i risparmi in un negozietto di abbigliamento, vogliono portare in città la moda pop. E invece portano a casa un mucchio di bollette e debiti. La rapina è solo un attimo, il centro di una vita passata a rimediare. Quando Rob viene condannato Sibil è incinta di due gemelli, di figli in tutto ne avrà sei. Si mette subito a lavoro: limpiego in un autonoleggio e la battaglia per la libertà di suo marito. La sfida contro il sistema penitenziario americano è vinta appena 21 anni dopo, quando finalmente a Rob concedono la grazia. Nel mezzo ci sono oltre 100 ore di filmato che Sibil raccoglie giorno dopo giorno fino al momento del riscatto. Video familiari, conferenze, appelli social, momenti intimi di sgomento e fragilità: un piccolo capitale umano che la regista ha portato sullo schermo in un continuo sovrapporsi di piani temporali, tra immagini di repertorio e riprese attuali. Sibil è ora giovanissima, col pancione, ora madre di due gemelli che ormai 18enni hanno messo su la barba senza aver mai visto il padre fuori da una cella. Il tempo, a cui è consacrato il film, scorre lento e inesorabile: quasi immobile per chi sta dietro le sbarre, ma troppo in fretta per chi cerca di conservare un po di prospettiva. «Provate voi a tenere unita una famiglia quando hai due visite al mese e 60 anni da scontare in cella», grida Sibil mettendo a frutto rabbia e frustrazione in uno dei suoi incontri con la comunità. La pena prevista dal codice americano per il reato di rapina va dai 5 ai 99 anni di detenzione, salvo patteggiamenti. «Il vero delitto è cancellare la vita di un uomo senza concedergli alcuna possibilità di recupero», denuncia ancora la donna. Con instancabile convinzione dice di considerarsi «unabolizionista»: perché il carcere per i neri americani è come una «forma legale di nuova schiavitù». Al punto che per il quotidiano statunitense Los Angeles Times, questo film rappresenta la «personalizzazione della prospettiva storica» illustrata nel documentario del 2016 XIII Emendamento, che spiega proprio col razzismo le ingiustizie del sistema penitenziario. Allora si parlò dellAmerica come di una nazione-carcere: solo gli Stati Uniti, secondo i dati aggiornati a qualche anno fa, vantano il 5% per cento della popolazione mondiale e il 25% di quella carceraria. Con quelle cifre ha a che fare anche Sibil, nuova Davide contro Golia, oggi brillante attivista. Di tutti i numeri con cui ha fatto i conti se ne lascia alle spalle soprattutto uno: «La chiamata è a carico del ricevente, prema il tasto 1 per accettare», recita la voce registrata del centralino penitenziario. Dallaltra parte Rob: «Pronto, amore, sai oggi ho visto le nuvole. Mi sembrava di camminare libero almeno in cielo».