«Una persona meravigliosamente convincente». Con queste parole alcuni anni fa il Times definì l’avvocato Guido Guerrieri, protagonista di diversi romanzi di Gianrico Carofiglio. Con la pubblicazione de “La misura del tempo” (Einaudi), candidato al Premio Strega nel 2020, Guerrieri è ritornato per la gioia dei suoi lettori, dopo alcuni anni di silenzio. Il personaggio nato dalla penna di Carofiglio, che ha consacrato l’ex magistrato come lo scrittore più letto in Italia e più tradotto all’estero (in una trentina di lingue), si distingue per la sua profonda umanità, autoironia e preparazione. Qualità che lo rendono prima di tutto un uomo normale e un professionista vicino ai suoi assistiti, non un Superman in toga come vorrebbero certi modelli culturali di importazione. Carofiglio conferma di essere amato ed apprezzato dai lettori. Da molte settimane è ai primi posti della classifica di vendite con il suo ultimo libro, «La disciplina di Penelope» (Mondadori). Ma com’è nato l’avvocato Guido Guerrieri? «Non è facile rispondere», dice al Dubbio Gianrico Carofiglio. «Più di vent’anni fa – evidenzia -, nel settembre del 2000, venivo da un momento molto delicato per me. Da una situazione di disagio personale è venuta fuori l’ispirazione, che ha poi dato vita al protagonista dei miei romanzi: l’avvocato Guerrieri». Una creazione letteraria in cui si intrecciano le vite e i destini di due protagonisti della giustizia: l’allora magistrato Carofiglio e l’avvocato Guerrieri che si trova in un’altra posizione in tribunale. L’avvocato, però, vale la pena ricordarlo, non è la controparte delle istituzioni giudiziarie. Anzi, ne garantisce il corretto funzionamento. L’attenzione dedicata dall’allora pubblico ministero Carofiglio all’avvocato Guerrieri è stata il frutto di un grande lavoro interiore. «Si è trattato – afferma lo scrittore - di un’ispirazione naturale, dettata dall’esigenza di dare spazio ad una figura dotata di freschezza intellettuale e umana. Da magistrato inquirente, all’epoca, ho voluto cogliere altre sfumature ed indagare, è proprio il caso di dirlo, su altri punti di vista, che non riuscivo a percepire. L’esigenza di avere altri angoli visuali miei, diversi da quelli che mi riguardavano direttamente. Da questi presupposti ha iniziato a muovere i suoi passi l’avvocato protagonista dei miei romanzi». Da allora una serie inarrestabile di successi editoriali in Italia e fuori dai confini nazionali. «La funzione dell’avvocato – scrive Carofiglio nel libro “La misura del tempo” - è garantire che nessuno venga condannato in base a procedure scorrette, e la sintesi di questa funzione è in ciò che potremmo definire “l’atto del domandare dubitando”. Porre domande, agli altri ma soprattutto a sé stessi, dubitando delle verità e delle regole all’apparenza consolidate. In ogni ambito – regole e fatti – come un esercizio dei nostri muscoli intellettuali ed etici. Non dando nulla per scontato». In queste riflessioni emerge probabilmente il migliore Carofiglio, uomo di diritto, che ha fatto del dubbio un’arte e uno strumento per conseguire in tribunale successi professionali. L’avvocato Guerrieri non insegue nessuno stereotipo, men che meno di tipo anglosassone; è un personaggio italiano, nel miglior senso: professionale, attento alla deontologia, amante del buon vivere. «Ho voluto sin dal primo momento evitare – commenta Carofiglio - il cliché dell’avvocato con poca fortuna, possiamo anche dirlo, sfigato, che si muove tra mille difficoltà. Guerrieri è un professionista bravo, ben inserito nel contesto in cui vive ed opera. Molto apprezzato da chi si rivolge a lui. Che si distingue per la sua profonda umanità. È al tempo stesso, però, un uomo con le sue paure e insicurezze». Guerrieri ha una grande dote: è in grado di leggere nell’animo di chi gli sta di fronte. Una qualità che lo rende unico e molto amato dai suoi lettori. Significativo un altro passaggio presente ne “La misura del tempo (Guido Guerrieri Vol. 6)”: «Cercare subito un’interpretazione univoca da cui far discendere una soluzione immediata e rassicurante è, nella maggior parte dei casi, un comportamento automatico e, in definitiva, un espediente per sottrarsi al dovere di pensare. Al contrario, per Keats, accettando l’incertezza, l’errore, il dubbio è possibile osservare più in profondità, cogliere le sfumature e i dettagli, porre nuove domande, anche paradossali e dunque allargare i confini della conoscenza e della consapevolezza». Nel romanzo “La regola dell’equilibrio” (Einaudi) l’introspezione nella quale si tuffa Carofiglio solleva una serie di interrogativi: «Dici che c``i sono le regole deontologiche, la tutela del cliente, gli obblighi dell'avvocato per sottrarti alla responsabilità che ti deriva dall'aver saputo certe cose. Non è che ti nascondi dietro ai presunti doveri professionali solo per evitare seccature, solo per evitare di scegliere?». Dubbi e domande che assillano ogni giorno chi indossa la toga e si reca in tribunale per affermare un diritto garantito dalla Costituzione all’articolo 24 («La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento»). Negli ultimi tempi sembra che il prestigio della figura dell’avvocato, sottoposto pure ad intercettazioni illegali nello svolgimento delle proprie funzioni, sia stato offuscato. «Non entro nel merito delle vicende che riguardano le intercettazioni degli avvocati», chiarisce Carofiglio. «Per quanto riguarda il prestigio dell’avvocato – aggiunge -, sicuramente esiste un problema di percezione all’esterno di questa figura professionale. Ci sono troppi avvocati in Italia. Questo fattore non migliora la qualità della gestione dei conflitti e in alcuni casi può sfociare in atteggiamenti negativi e più in generale nella qualità del lavoro con ripercussioni su più fronti. Pensiamo alle leggi scritte male, affastellate tra loro. Credo che occorra intervenire sull’accesso alla professione e sostituire l’esame con un concorso pubblico, che indichi un numero prestabilito anno per anno. Ma stiamo affrontando solo un pezzo del problema legato alla giustizia in Italia». Il libro di Carofiglio, «L’arte del dubbio» (Sellerio), è stato un punto di partenza da cui hanno iniziato a prendere corpo le storie di Guerrieri. «Quello – spiega - era un manuale tecnico da cui inizieranno a svilupparsi altre elaborazioni. Una mia amica psicologa mi suggerì di passare dal ragionamento tecnico alla narrativa. Un consiglio prezioso che ha permesso ai miei personaggi di iniziare a muoversi nelle pagine dei miei romanzi con un legame con Bari sempre molto forte. La mia città, infatti, si è trasformata in un luogo romanzesco. Quando inizi a scrivere ti ispiri e aggrappi a ciò che conosci già. Bari è riconoscibile nei miei libri. Una città con molteplici caratteristiche, mutevole, assolata e notturna, indifferente e criminale, raffinata e underground contemporaneamente. Nelle mie pagine si riconoscono luoghi e personaggi». Secondo Carofiglio, l’avvocato e, più in generale, il giurista, non devono farsi assorbire solo da norme e manuali. L’avvocato dovrebbe essere un uomo colto e conoscere la realtà che lo circonda: «Ne “La misura del tempo” Guerrieri tiene una lezione ad alcuni giovani magistrati. Il giurista deve percepire diverse visioni del mondo. Non è una cosa semplice perché ha l’arduo compito di comporre prospettive diverse». E se è dotato di curiosità, sensibilità e spirito critico ci riesce benissimo.