Si ricorre troppo spesso al 41 bis, con il rischio di rinchiudere anche persone che dovrebbero stare in alta sicurezza. Il rischio? «Paradossalmente, inflazionando l’assegnazione ai predetti circuiti si finisca per immettervi soggetti estranei alla criminalità organizzata e che, da un lato, potrebbero essere da quest’ultima “arruolati”, dall’altro, sviliscano lo scopo di ridurre i contatti e le possibilità di comunicazione dei boss». A dirlo innanzi alla commissione nazionale Antimafia è Gennarino De Fazio, Segretario Generale della Uilpa Polizia Penitenziaria.Ciò che ha osservato in commissione il segretario della Uilpa è di particolare rilievo.

I condannati per reati di tipo associativosono ristretti nelle sezioni di alta sicurezza

Il 41 bis, ricordiamo, nasce per rinchiudere i boss mafiosi, quelli che potenzialmente possono dare ordini all’esterno indirizzati al proprio gruppo di appartenenza. L’alta sicurezza, invece, è una sezione del carcere in cui sono riuniti tutti i condannati per reati di tipo associativo (mafia, traffico di droga, etc.), che sono sottoposti ad una sorveglianza più stretta rispetto ai detenuti comuni. «Sempre più spesso, del resto, – ha osservato De Fazio in commissione – si ha la sensazione che si ricorra all’applicazione dell’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario proprio perché l’Alta Sicurezza non offre sufficienti garanzie».

Il 41 bis non può essere dato con estrema facilità visto la sua eccezionalità

Appare quindi che la magistratura abbia questo tipo di percezione e per questo ricorre sempre più spesso al 41 bis. Ma se così fosse, viene meno la ratio del carcere duro che non può essere dato con estrema facilità visto il suo carattere – almeno sulla carta – eccezionale.Eppure, l’alta sicurezza è un regime certamente non morbido. Il rapporto tematico redatto dal garante nazionale delle persone private della libertà, ci aiuta a capire di che cosa stiamo parlando. Si apprende che le sezioni del circuito di Alta sicurezza (As) sono state istituite con il «compito di gestire i detenuti e gli internati di spiccata pericolosità, prevedendo al proprio interno, tre differenti sotto-circuiti con medesime garanzie di sicurezza e opportunità trattamentali». Esse sono definite con un Atto amministrativo e non con una norma di carattere primario. La decisione di prevedere tre sotto-circuiti nasce, nel 2009, dall’esigenza, specificata nella citata circolare, di rispondere alla eterogeneità dovuta alle differenti connotazioni di natura criminale alla base della presenza delle persone nell’allora circuito “Elevato indice di vigilanza”, da quel momento sostituito dal circuito dell’Alta sicurezza.

La Consulta, già nel 1997, ha chiarito che i ricorsi al 41 bis devono essere «concretamente giustificati»

Ciò che ha denunciato De Fazio, se fosse vero, è grave. Va contro alcune sentenze della Corte costituzionale. La Consulta, nella sua sentenza n. 376 del 1997, ha espressamente detto che i ricorsi al 41 bis devono essere «concretamente giustificati in relazione alle predette esigenze di ordine e sicurezza». Poiché – afferma la Corte – «da un lato, il regime differenziato si fonda non già astrattamente sul titolo di reato oggetto della condanna o dell'imputazione, ma sull'effettivo pericolo della permanenza di collegamenti, di cui i fatti di reato concretamente contestati costituiscono solo una logica premessa; dall'altro lato, le restrizioni apportate rispetto all'ordinario regime carcerario non possono essere liberamente determinate, ma possono essere – sempre nel limite del divieto di incidenza sulla qualità e quantità della pena e di trattamenti contrari al senso di umanità – solo quelle congrue rispetto alle predette specifiche finalità di ordine e di sicurezza. Non vi è dunque una categoria di detenuti, individuati a priori in base al titolo di reato, sottoposti a un regime differenziato: ma solo singoli detenuti, condannati o imputati per delitti di criminalità organizzata, che l'amministrazione ritenga, motivatamente e sotto il controllo dei Tribunali di sorveglianza, in grado di partecipare, attraverso i loro collegamenti interni ed esterni, alle organizzazioni criminali e alle loro attività, e che per questa ragione sottopone – sempre motivatamente e col controllo giurisdizionale – a quelle sole restrizioni che siano concretamente idonee a prevenire tale pericolo, attraverso la soppressione o la riduzione delle opportunità che in tal senso discenderebbero dall'applicazione del normale regime penitenziario».