«Ora sappiamo che c’è un giudice anche a Palermo. Sono sollevato, ma è stata dura. L’accusa aveva chiesto una condanna che di solito si richiede per un boss mafioso. Mi hanno trattato come un Dell’Utri qualsiasi». Il giorno dopo la sentenza che lo assolve dalla tremenda accusa di estorsione, Pino Maniaci, giornalista impertinente e cuore e testa della piccola e agguerrita Telejato, può tirare un sospiro di sollievo.

Il suo calvario giudiziario che rischiava di costargli undici anni e mezzo di reclusione ( questa la richiesta avanzata dal sostituto procuratore Amelia Luise in sede di requisitoria) è finito dopo una camera di consiglio durata quasi otto ore che si è conclusa in primo grado con l’assoluzione dall’accusa di estorsione e con una condanna piuttosto pesante a un anno e mezzo di carcere per l’ipotesi di diffamazione.

Protagonista “rumoroso” del giornalismo siciliano, alla guida di una piccola tv privata di Partinico, Pino Maniaci è uno di quei giornalisti abituati a raccontare la realtà che li circonda. Un metodo di lavoro che gli ha provocato un’enormità di problemi con esponenti della criminalità organizzata e non solo: non si contano infatti le intimidazioni, le minacce e le aggressioni collezionate negli anni a causa dei suoi servizi e che hanno dato al giornalista palermitano una certa visibilità a livello nazionale. Poi, nel 2015, l’indagine dei carabinieri che, indagando sui presunti intrecci tra Cosa Nostra e alcuni pezzi della politica locale, lo accusano, in seguito ad una controversa intercettazione ambientale, di avere utilizzato la sua tv per estorcere denaro e benefits ad alcuni amministratori dei comuni di Partinico e Borghetto. Un’accusa gravissima che ( due anni dopo la retata della procura che lo aveva visto coinvolto) viene stralciata dal procedimento principale per mafia e reindirizzata davanti al giudice monocratico che ieri ha emesso la sentenza di primo grado.

«Dopo cinque anni passati sotto una cappa, posso dire di sentirmi liberato. Anche se non è possibile che tocchi aspettare così a lungo per arrivare ad una sentenza di primo grado.

L’accusa di estorsione per un giornalista poi racconta a Il Dubbio Maniaci – è una delle più gravi che ci possa essere, devo dire grazie ai miei avvocati Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino e a tutto lo staff che durante il procedimento hanno demolito l’impianto accusatorio della procura facendomi uscire da questo incubo a occhi aperti. Certo la Procura non ci ha fatto per niente una bella figura».

Tante le inchieste giornalistiche portate avanti negli anni dai redattori della piccola tv corsara, una delle quali, ne è convinto lo stesso Maniaci, avrebbe fatto da detonatore per l’inizio dell’indagine nei suoi confronti. «Nel processo abbiamo dimostrato che tutto è partito in seguito ai nostri servizi sul comportamento di un pezzo del Tribunale di Palermo, quello per intenderci del sistema Saguto ( l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale palermitano, ndr), che a differenza della mia vicenda è finito con sentenze di condanne molto pesanti, a dimostrazione che avevamo ragione noi».

Per anni inneggiato come icona dell’antimafia militante, Maniaci è passato, in pochi attimi, da “santino” antimafia da portare in processione a presunto estorsore capace di piegare il proprio lavoro per interesse personale. «Le etichette restano etichette e non te le dai tu – racconta ancora il direttore di Telejato – ma te le affibbiano altri e poi ti restano appiccicate addosso che tu lo voglia o no. Siamo parlando di un periodo in cui l’antimafia di professione va molto di moda e un giornalista che dice che la mafia fa schifo è considerato bravo e coraggioso. Per come la vedo io, tutti i giornalisti che fanno veramente i giornalisti sono contro il malaffare e contro le mafie, aldilà delle etichette che restano solo etichette e appena succede qualcosa, con la stessa velocità con cui te le hanno messe, te le tolgono. L’essere contro la mafia dovrebbe essere di tutti i giornalisti. Noi a Telejato non avevamo fatto altro che il nostro lavoro. Noi seguiamo la via tracciata da Pippo Fava e la nostra redazione si è distinta in questo. Però devo constatare che tanti giornalisti si sono divertiti a massacrarmi». E il trattamento che parte dei giornalisti e dell’antimafia militante gli ha riservato, Maniaci ne è convinto, è frutto anche dell’impostazione con cui attualmente vengono spiegati in conferenza stampa i motivi degli arresti. «È il sistema che è profondamente sbagliato. Uno dei miei prossimi obiettivi è di portare avanti una battaglia parlamentare in questo senso: se veramente in Italia vige la presunzione d’innocenza come recita la nostra Costituzione, le Procure non si possono permettere di fare le conferenze stampa con quelle modalità, con le loro verità granitiche che possono essere stritolanti per gli indagati, mentre in quel momento le stesse persone oggetto della conferenza stampa vengono fuori sempre “mascariate”, sempre “scunzate”. Non può funzionare così. È un sistema sbagliato.

Bisogna prima aspettare una sentenza».

Accusato di avere venduto il suo lavoro in cambio di denaro, Maniaci non ha perso la fiducia nella giustizia che vive di uomini e donne diversi e serve sempre fare dei distinguo.

«Sia nella magistratura che nelle forze dell’ordine – racconta – ci sono persone estremamente preparate e altre persone che sono indegne e dovrebbero farsi da parte.

Alcune di queste persone potrebbero entrare nel mondo dello spettacolo, visto con quanto entusiasmo si presentano davanti alle telecamere. Certo in questa occasione il sistema giustizia ne esce con le ossa rotte e con una grossa figura di merda sulle spalle. Anche un ragazzino si sarebbe messo a ridere davanti all’ipotesi di un’estorsione di 366 euro. Se lo immagina? Una mazzetta comprensiva di Iva, davvero difficile da credere. Ma per fortuna non tutti la pensavano così. Ora bisognerà correggere il tiro perché tra il sistema Palamara e il sistema Saguto le persone hanno perso fiducia nella giustizia e bisogna lavorare per restituire dignità all’intero settore della giustizia».