Costretta a pagare gli oneri di un divorzio con colpa per non aver soddisfatto gli appetiti sessuali del consorte. È quanto accaduto a madame Barbara ( il nome è di fantasia n. d. r.) una donna francese di 67 anni sanzionata dal tribunale di Versailles in quanto sarebbe venuta meno ai «doveri coniugali» con la conseguenza di rendere «intollerabile la convivenza».

Una vicenda che sta destando scalpore oltre le Alpi con la mobilitazione di diverse associazioni femministe che parlano senza mezzi termini di «stupro legalizzato» e con una denuncia alla Corte europea dei diritti dell’uomo ( CEDH). «Si tratta di una sentenza d’altri tempi, sono scandalizzata e la vivo come una negazione della giustizia», racconta la donna al portale mediapart.

Come spiega la sua avvocata Lilia Mhissen i giudici di Versailles hanno seguito «un’interpretazione arcaica del codice civile, purtroppo alimentata da una folta giurisprudenza».

Che peraltro non tiene minimamente conto della sentenza della Corte di cassazione che nel 1992 aveva definito come «violenza sessuale» un rapporto non consensuale anche se consumato all’interno del matrimonio.

L’affaire inizia 2011 quando, dopo 27 anni di unione, Barbara chiede il divorzio, accusando il marito ( che è un magistrato) di averla lasciata sola nell’educazione dei 4 figli ( lavora in una procura distante centinaia di chilometri dal domicilio coniugale), di aver subito nel corso degli anni, assieme alla figlia più piccola, minacce, violenze psicologiche e fisiche.

Il marito accusa sua volta accusa la donna di «comportamento molesto» addebitandole la responsabilità di aver rotto il vincolo matrimoniale con il rifiuto sistematico di avere rapporti sessuali. Nel 2018 il tribunale di Versailles dà ragione a Barbara, rigettando il divorzio con colpa chiesto dal coniuge.

La decisione viene però ribaltata l’anno successivo dalla Corte d’appello dello stesso tribunale stabilisce il non adempimento dei doveri coniugali da parte della donna; la sentenza è confermata in Cassazione lo scorso settembre che la obbliga a pagare un indennizzo all’ex marito.

Ma Barbara e le sue avvocate non si danno per vinte e ricorrono alla CEDH chiedendo di applicare l’articolo 4 della Convenzione europea di diritti umani per cui «nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù».

In effetti come tuona l’avvocata Missen «la sessualità intesa come dovere coniugale è un’idea che risale al codice napoleonico del 1804 ed è ancora un residuo del diritto canonico, il matrimonio non può essere l’unico luogo dove è autorizzata la schiavitù, per i giudici di Versailles gli uomini hanno il diritto di disporre come vogliono del corpo della moglie, questa è una mostruosità e un messaggio terribile lanciato dalla giustizia francese proprio nel momento in cui affiora la piaga sociale degli stupri coniugali».

Commentando la vicenda sul quotidiano Le Monde la celebre avvocata matrimonialista Florence Mauger- Vielpeau mette in evidenza come le stesse donne siano influenzate da questa mentalità medievale e del tutto inconsapevoli dei propri diritti: «Nella mia lunga esperienza sono rimasta scioccata nel vedere quante donne restanio ancora legate a questa accezione di dovere coniugale e si sentano costrette a consumare rapporti anche controvoglia».

La contraddizione tra violenza sessuale coniugale e obblighi matrimoniali restituisce un quadro giuridico schizofrenico in cui i giudici possono tranquillamente associare la «comunità di vita» prevista dall’articolo 212 del codice civile con una “comunità di letto” che non è citata da nessuna legge.