L'ex procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, già membro del Csm, e l'ex magistrato romano Luca Palamara rischiano di andare a processo. Per i due la procura di Perugia ha infatti richiesto il rinvio a giudizio con l'accusa di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. Richiesta avanzata anche per Stefano Fava, ex sostituto procuratore a Roma e ora giudice civile a Latina. L'udienza preliminare per esaminare la richiesta è fissata per tutti al 13 maggio.   Protagonista della vicenda l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. Secondo l'accusa, l'ex pg Fuzio, avrebbe rivelato all'allora sostituto procuratore di Roma - «su istigazione» dello stesso Palamara -  l'arrivo al Comitato di presidenza del Consiglio superiore della magistratura di un esposto presentato da Fava in merito a comportamenti «asseritamente scorretti» di Pignatone. In base alla ricostruzione della procura perugina, guidata da Raffaele Cantone, Palamara concorreva al reato poiché, essendo a conoscenza delle «intenzioni di Fava», aveva chiesto a Fuzio di verificare che l'esposto fosse stato effettivamente presentato. Fava e Palamara sono poi accusati di avere rivelato alla stampa notizie «d'ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete». E, sempre secondo l'accusa, Fuzio avrebbe inoltre rivelato a Palamara le iniziative che il Comitato di presidenza del Csm intendeva intraprendere per verificare la fondatezza dei fatti descritti nell'esposto.   - Leggi anche: «Contro Lanzi le logiche di quel “Sistema” descritto da Palamara»   Fava è accusato invece di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico. Secondo l'accusa, il magistrato si sarebbe introdotto abusivamente in un applicativo del Ministero della Giustizia per acquisire i verbali di udienza e della sentenza di un procedimento «per ragioni estranee» a quelle per le quali aveva facoltà. L'obiettivo? Avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone - sostiene l'accusa - e dell'aggiunto Paolo Ielo, attraverso «l'ausilio» di Palamara. La procura di Perugia contesta a Fava anche il reato di abuso d'ufficio, sostenendo che l'allora sostituto procuratore a Roma avrebbe acquisito atti di alcuni procedimenti penali «a lui non assegnati, per dimostrare l'incompatibilità dei due magistrati e la violazione dell'obbligo di astensione ma anche di avere presentato un esposto al Csm in cui riportava una versione volutamente incompleta - sostiene l'accusa - degli atti adottati dal procuratore in ordine a supposte ragioni di incompatibilità per la trattazione di alcuni procedimenti».