Secondo il costituzionalista Michele Ainis, reduce dall’ultima fatica letteraria, Disordini, «adottando il criterio della fascia d’eta nelle vaccinazioni il governo rispetta l’articolo 3 della Costituzione» e sull’approccio alla pandemia «il fatto che Draghi intenda utilizzare il decreto legge rappresenta una ritrovata sintonia con la Carta».

Professor Ainis, come è cambiato in questo anno il rapporto tra Stato e Regioni?

Credo che alla fine di questa giostra, anche se purtroppo non siamo ancora alla fine, le Regioni siano diventate più impopolari. Abbiamo attraversato tre stati d’animo: l’incredulità, la paura e la rassegnazione. Stiamo accettando questa nuova normalità fatta di divieti e mascherine ma nella fase della paura i presidenti di Regione e alcuni sindaci sceriffi sono stati protagonisti raccogliendo il bisogno di protezione e rassicurazione. In quella fase tuttavia c’è stata una forte personalizzazione e un’eclissi delle assemblee rappresentative: non più potere al Parlamento, ma al capo del governo, non alle assemblee regionali, ma al presidente di Regione, non ai consigli comunali, ma al sindaco.

E poi?

Superata quella fase l’esigenza diffusa è stata la protezione attraverso la certezza. C’è un forte bisogno di certezza del diritto e su questo punto il contenzioso tra Stato e Regioni si è incattivito, rendendo quest’ultime più impopolari. C’è una grande richiesta di uguaglianza di trattamento ma la condizione della risposta da parte dei poteri pubblici alla pandemia è stata fin troppo parcellizzata.

In che senso?

Abbiamo cominciato a ritagliare categorie e subcategorie. Lo abbiamo fatto con i ristori ( che ora si chiamano sostegni, ma sempre di quattrini si tratta) e lo stiamo facendo con i vaccini. Questo è un problema, e se lo trasliamo sul piano costituzionale mi giocherei un terno: articolo 3, articolo 117 e articolo 120.

In che modo questi articoli consentono di analizzare il problema?

L’articolo 3 declina il principio d’uguaglianza: tutti sono uguali davanti alla Legge. Ma già Aristotele diceva che la vera domanda sottesa a questo principio fosse “chi sono gli uguali?”. Nella nostra Costituzione i più eguali sono i più deboli e in questo caso i più deboli sono i più anziani. Questo governo, avendo stabilito che si va per fascia anagrafica e basta, ha deciso di adottare il criterio generale dell’età e così facendo certamente soddisfa meglio l’esigenza di giustizia imposta dall’articolo 3.

E gli altri due?

L’articolo 117 distribuisce le competenze tra Stato e Regioni e contiene la citazione di una materia riservata in via esclusiva allo Stato, cioè la profilassi internazionale. Il che non significa che le Regioni non devono far nulla ma possono adottare solo misure esecutive ed attuative, non regole di primo grado. Se non lo fanno, c’è l’articolo 120, cioè quello dei poteri sostitutivi.

Crede che il rapporto tra Stato e Regioni durante la pandemia poteva e può ancora essere gestito meglio?

La via maestra sarebbe la leale collaborazione tra poteri. Tema già richiamato da infinite sentenze della Corte Costituzionale ma anche da diversi presidenti della Repubblica, compreso Mattarella. Siamo tutti a bordo della stessa macchina: se una ruota sta ferma e le altre girano la macchina sbanda. Se una Regione scrivesse una legge che contrasta con quella statale, il rimedio è il giudizio in via principale dinanzi alla Consulta e in questo caso la norma regionale sarebbe illegittima, come successo con la Valle d’Aosta a gennaio. Se invece si tratta di atti amministrativi si può pensare a un conflitto d’attribuzione o a un commissariamento.

Crede sia opportuna una legge per il personale sanitario che non si vaccina?

Se non c’è un obbligo non si può castigare qualcuno per non aver rispettato un “non obbligo”. Ma in questo caso il terno diventa una quaterna, perché arriva in soccorso l’articolo 32 della Costituzione, che permette trattamenti sanitari obbligatori, come sono i vaccini, ma a due condizioni: che ci sia una legge a farlo, e quindi Cartabia dovrà proporre un qualcosa che diventi una norma di un decreto legge, e che non sia una norma secondaria; e che la norma sia proporzionata. È una scelta politica e tutte le scelte politiche sono rimesse al giudizio della pubblica opinione. Ma se stabilissi in una legge che un infermiere che rifiuta il vaccino viene licenziato, mi parrebbe sproporzionato.

Da una parte i Dpcm di Giuseppe Conte, dall’altra i decreti legge di Mario Draghi. Crede che il metodo politico utilizzato dai due presidenti del Consiglio sia dettato solo da una questione di tempistica rispetto alla gravità della pandemia o c’è un approccio di fondo diverso?

Occorre fare una premessa. Nel diritto la forma è sostanza e quindi la scelta di un veicolo formale rispetto a un altro cambia il paesaggio normativo e costituzionale. In Italia si abusa ormai da decenni dei decreti legge, che invece di essere usati solo in casi estremi di necessità e urgenza, come spiega la Costituzione, sono diventati uno strumento orale di legislazione. E così quando è arrivata la vera emergenza il decreto legge è sembrato troppo macchinoso e allora si è scelto il Dpcm, che è un atto individuale. Ma la malattia delle nostre istituzioni è pregressa. Ora siamo in una situazione meno drammatica di un anno fa ma che Draghi intenda utilizzare il decreto legge rappresenta una ritrovata sintonia con la Costituzione. Il decreto legge inoltre offre un ventaglio di garanzie che il Dpcm non dà, perché sottoposto a un doppio controllo del capo dello Stato, sia quando viene emanato che quando la legge di conversione viene promulgata.

Si parla di rendere fisso, ogni mese, uno scostamento di bilancio simile a quelli fatti finora, eppure la Costituzione richiama al pareggio di bilancio. Come si coniugano le esigenze dettate dalla pandemia con le regole della Carta?

C’è una norma che in alcune Costituzioni è messa nero su bianco e nella nostra no, ma è come se lo fosse. È la norma che protegge i diritti delle generazioni future. Il debito che stiamo accumulando, benché necessitato, ricade sui nostri figli e nipoti. Quindi ogni scostamento di bilancio deve prevedere un piano di rientro. E siccome abbiamo un banchiere a capo del governo spero che lo abbia previsto.