Grazie all’ordinanza del tribunale di Milano, è stato riconsegnato il cellulare a un migrante trattenuto nel centro per il rimpatrio (Cpr) di Milano. Il giudice, nell’accogliere il ricorso presentato dal ragazzo, appena 18enne nato in Tunisia e difeso dall’avvocata Giulia Vicini, ha richiamato non solo la normativa nazionale e internazionale (“la particolare rilevanza che nel corso del trattenimento assume la libertà di corrispondenza telefonica con l’esterno” si evince già, secondo il Tribunale, dalla “frequenza con cui essa compare nelle norme”), ma anche le raccomandazioni espresse dal Garante Nazionale per i diritti delle persone private della libertà con riferimento al trattenimento dei cittadini stranieri. In sostanza, come sottolinea l’Asgi che si occupa degli studi giuridici sull’immigrazione, l’ordinanza riconosce che la libertà di corrispondenza telefonica costituisce un diritto fondamentale stabilito dall’art. 15 della Costituzione che deve essere garantito all’interno del Cpr.

Un piccolo passo in avanti, visto che i migranti, pur non avendo commesso nessun reato, di fatto sono meno tutelati dei detenuti in carcere. Non c’è nessun ordinamento come quello penitenziario e quindi non hanno garanzia alcuna.

Ma ritorniamo all’ordinanza, a partire dalle vicissitudini che ha dovuto affrontare il migrante. Vale la pena narrarle per comprendere quanta difficoltà e palesi violazioni incorrono le persone che giungono nel nostro Paese. Parliamo di un ragazzo che è giunto in Italia, da minorenne, il 4 novembre scorso. Appena messo piede a Lampedusa, gli è stato notificato un decreto di respingimento. La questura di Siracusa gli ha disposto il trattenimento presso il Cpr di Ponte Galeria, a Roma. A causa delle misure di quarantena imposte dalla pandemia, l’udienza di convalida del trattenimento si è tenuta soltanto un mese dopo, il 7 dicembre 2020, e il giudice di pace di Roma, nonostante che lo straniero avesse dichiarato di essere minorenne, ha convalidato il suo trattenimento.

Il 31 dicembre, a seguito della procedura medica di accertamento dell’età del migrante, il giudice di pace ne ha ordinato il rilascio. È stato quindi portato in un Centro di accoglienza, dove vi è rimasto fino al 5 gennaio 2021. È accaduto che in quel contesto non gli è stato permesso di contattare amici o familiari, né il suo avvocato, che non hanno più avuto notizia di lui fino all’ 8 gennaio, nonostante le richieste inoltrate dal legale di fiducia, avvocata Cristina Cecchini del foro di Roma, alla Questura. L’avvocata, non avendo avuto riscontro, ha inviato una segnalazione anche al Garante.

Si è venuto quindi a scoprire che il 5 gennaio stesso, il prefetto di Roma ha notificato al ragazzo un nuovo decreto di espulsione, con accompagnamento alla frontiera. Il questore ha disposto il suo trattenimento presso il Cpr di Milano, essendo necessario acquisire un documento valido per l’espatrio. Ed è lì che non gli è stato restituito il suo cellulare. Non ha potuto chiamare nessuno, soprattutto il suo avvocato per chiedere di essere assistito visto che nel frattempo ha fatto richiesta di protezione internazionale e avevano già fissato l’udienza. Ecco quindi spiegato il motivo del ricorso.

Secondo il tribunale di Milano, l’impossibilità di accedere al proprio telefono cellulare costituisce una limitazione del diritto alla libertà di comunicazione dei trattenuti che non trova fondamento nel nostro ordinamento ed è anzi contraria alle norme costituzionali e sovranazionali che presidiano tale diritto. La limitazione delle comunicazioni con l’esterno, che necessariamente consegue all’impossibilità di accedere al proprio telefono cellulare, è altresì idonea a configurare una violazione del diritto di difesa dei trattenuti. Tale circostanza, come riconosciuto dal Tribunale, risulta particolarmente evidente nel caso del richiedente asilo ricorrente, a cui non è stato consentito di comunicare con il proprio difensore di fiducia prima dell’udienza di convalida del trattenimento, con la conseguenza di non potersi avvalere della sua assistenza in tale sede.

Il Tribunale ha quindi ordinato alla Prefettura, alla Questura di Milano e all’ente gestore del Cpr di consentire al ricorrente la detenzione e l’utilizzo del proprio telefono cellulare secondo le modalità indicate dall’articolo 7 del Regolamento Unico Cie ( Regolamento Ministeriale 20 ottobre 2014) per le visite all’interno del centro, ovvero in base a turni quotidiani, in locali sottoposti a sorveglianza ma nel rispetto della riservatezza della persona e per un tempo sufficiente, che l’ordinanza indica in almeno due ore.