Molti danno per scontato che l’impresa di Marta Cartabia consista nel riformare la prescrizione senza favorire l’uscita dei 5 stelle dal governo. Ma chi ha compreso di quale spessore siano la guardasigilli e i componenti del suo gruppo di lavoro sulla riforma penale avrà già capito che la missione non è impossibile. Basti citare il presidente di quella “commissione agile”, Giorgio Lattanzi, cioè il numero uno della Consulta, e predecessore dunque di Cartabia, che ha portato la Corte in viaggio negli istituti di pena, faccia a faccia con i carcerati. La vera impresa, per la ministra, in realtà è un’ altra: è la riforma del Csm.

Difficilissima, e non solo per le complicazioni di quello che viene banalizzato nel “caso Palamara”. Gli ostacoli sono due, anzi è la difficoltà di rimuoverli insieme. Cartabia ricorda nelle sue “Linee programmatiche” la «fisiologica e peraltro ineliminabile pluralità delle culture della magistratura» e la necessità di rifuggire «dalla semplificazione che confonde il valore del pluralismo con le degenerazioni del correntismo». Ma nello stesso testo, la guardasigilli scrive, e ha detto testualmente nelle commissioni Giustizia del Parlamento: «Si prevede una profonda riforma del sistema elettorale» del Csm, «con l’obiettivo di ridurre il peso delle correnti nella scelta dei candidati e nella determinazione» degli eletti.

Non solo: ha persino ipotizzato una avveniristica asincronia nell’elezione dei consiglieri, in modo rinnovare «ogni due anni la metà dei laici e la metà dei togati». Sia per «assicurare una maggiore continuità dell’istituzione» sia per «scoraggiare logiche spartitorie che poco si addicono alla natura di organo di garanzia che la Costituzione attribuisce al Csm».

Non è un algoritmo. Cartabia sostiene che il pluralismo delle correnti va salvato e nello stesso tempo che le correnti non devono comportarsi a Palazzo dei Marescialli come se fossero partiti. Certo, per la soluzione c’è da scervellarsi. Tanto che finora l’Anm non si è spinta a polemizzare per il rischio ridimensionamento politico nel Consiglio. E non è solo perché Giuseppe Santalucia, nuovo presidente dell’Associazione, è un galantuomo, ma anche perché non c’è una chive a portata di mano. Lo sa benissimo anche l’altra figura di prestigio scelta dalla guardasigilli per scrivere gli emendamenti dei ddl Bonafede: quel Massimo Luciani che, tra l’altro, ha presieduto l’Associazione costituzionalisti, ambito da cui proviene la stessa ministra. Luciani guiderà il gruppo di lavoro deputato alla riforma del Csm. E, come ha ricordato ieri il Sole- 24 Ore, ha espresso mesi fa considerazioni sul correntismo analoghe a quelle di Cartabia: «La riforma del sistema elettorale del Csm», ha detto a un convegno delle toghe di “Area”, «non può essere l’occasione per stroncare la libertà di associazione dei magistrati, specie a fronte di un associazionismo nato e prosperato anche perla spinta di legittime pulsioni ideologiche e culturali». Insomma, la direzione è chiara: le correnti non devono morire ma neppure devono comandare. E però, perché mai dovrebbero continuare a esistere? La risposta in apparenza si complica se si considerano le riflessioni proposte da una delle voci più attive e culturalmente consapevoli dell’associazionismo giudiziario: Magistratura democratica. La segretaria del gruppo, Mariarosaria Guglielmi, ha pubblicato nei giorni scorsi un articolo sulla propria rivista- house organ, Questione giustizia. Ha riconosciuto la «crisi» e le «cadute» nel «governo della magistratura», ma ha anche puntato l’indice contro il rischio che la riforma degradi il Csm «in senso burocratico, come organo di amministrazione e di governo del “personale”». Vuol dire che nel cuore profondo della cultura togata l’ammissione degli errori non si traduce in spirito remissivo rispetto al ruolo “politico”. Si preannuncia dunque uno scontro, fra la ministra- presidente emerita e i magistrati? Forse no. Forse una possibile via d’uscita, e persino un’ipotesi di alleanza ideale, è sempre nelle riflessioni di Guglielmi. Che alla fine del citato intervento affida alla sua corrente la missione di esercitare una «vigilanza sulla tenuta del ruolo costituzionale della giurisdizione». La risposta può essere qui, nel fatto cioè che, come dice Guglielmi, le correnti non dovranno spartirsi le nomine al Csm, ma devono però dire la loro sullo scivolamento del Paese lontano dalla cultura costituzionale. Cioè anche su tutto quello che negli ultimi anni è avvenuto nell’opinione pubblica “grazie” alla distorsione mediatica del processo, alla soppressione sostanziale della presunzione di innocenza.

In questo le toghe potrebbero essere eccome alleate di Cartabia. Che crede così tanto nel primato, e persino nella forza pedagogica della Costituzione, da essere convinta di poter cambiare la prescrizione senza litigare coi cinque stelle.