La Rai ha rimandato in onda nel pomeriggio di sabato scorso la trasmissione "Presa diretta" che già il lunedì precedente aveva puntato i riflettori sull’inchiesta "Rinascita Scott". È l'ultima manifestazione di arroganza di un potere mediatico giudiziario che (ignorando le perplessità sollevate da Il Dubbio prima di ogni altro e poi da altri) ha dimostrato di disporre di una straordinaria potenza di fuoco utilizzando uno schema di attacco efficace ma vecchio come il cucco: chi critica la trasmissione è contro il giornalismo d'inchiesta, chiunque muova rilievi ai Pm impegnati in Rinascita Scott, se mafioso non è poco ci manca. Il rischio è cadere nella trappola ed accettare un tale schema di gioco. Alla provocazioni bisogna rispondere con la forza dei fatti. Per esempio: è vero o non è vero che nella precedente puntata di "Presa diretta" , dedicata all' inchiesta "New Bridge", sono stati presentati come delinquenti persone che sono stati assolti da ogni accusa e come 'ndranghetisti alcuni indagati che i giudici - ribadiamo i giudici - hanno stabilito che tali non sono? Come è potuto succedere? C'è una sola spiegazione, "Presa diretta" ha utilizzato come unico punto di osservazione dei fatti la procura della Repubblica. Lo aveva fatto in "New Bridge", l'ha riproposto in "Rinascita Scott". Se il grande giornalismo d'inchiesta avesse utilizzato la stessa postazione, Peppino Impastato sarebbe ricordato come un folle estremista intento a mettere bombe sui binari, la storia di Giuliano sarebbe stata quella d'un bandito ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri e l'anarchico Pinelli sarebbe passato alla storia come un complice degli autori (?) della strage di Piazza Fontana.   Infine un giornalismo d'inchiesta qualche domanda sul perché la Calabria sia in assoluto la prima regione d'Italia (e Catanzaro la prima città) per fondi destinati alle vittime di ingiusta detenzione l'avrebbe pur posta. Invece niente di tutto questo. Ed il perché lo spiega il procuratore capo di Catanzaro : "siamo in guerra" e quindi "Presa diretta" si comporta come un bollettino dal fronte di battaglia. Le telecamere fanno vedere cadaveri di morti ammazzati, testimonianze di persone intimidite dai mafiosi o il volto sofferente delle vittime di usura. Tutte cose vere e tutte cose da far vedere. Anzi i crimini sono molti di più e molto più gravi di quanto Presa diretta non abbia detto o fatto intendere. Aggiungiamo che molto spesso i responsabili dei crimini più efferati non vengono individuati e lo "Stato" (ed i corrispondenti dal "fronte" ) farebbero bene a domandarsi il perché.   Quello che è comunque certo è che non si onorano le vittime di mafia aggiungendo ad esse le vittime della "giustizia". Non avranno conforto le madri, i bambini, le mogli delle vittime di mafia se altre madri o altri bambini piangeranno senza colpa per i loro cari buttati nelle carceri da innocenti. Non ha bambini Gian Luca Callipo, ex sindaco di Pizzo, arrestato in Rinascita Scott e che, secondo la Cassazione, non andava arrestato? Non ha figli l'ex sindaco di Marina di Gioiosa tenuto 5 anni in carcere e riconosciuto innocente? Un sano giornalismo di inchiesta darebbe certamente spazio (e tanto) alle vittime di mafia ma anche (almeno altrettanto) a coloro che sono stati stritolati dalla giustizia sommaria. E sono tanti.   Ma anche se fosse stata una sola persona ad avere la vita spezzata dalla "giustizia" che ha bisogno di grandi numeri per avere spazio sui media, non è accettabile, e non è umano, che ciò venga accettato senza batter ciglia. Non è compatibile con con la direttiva UE del 2016 che vuole sia garantita nei fatti la presunzione di innocenza. Ed è inquietante che il dottor Gratteri, ancora oggi, su "Famiglia Cristiana" tracci un collegamento tra garantismo e collusione con la ndrangheta. Comprenda il dottor Gratteri: non ci sentiamo secondi a nessuno nella lotta contro la mafia ma senza mai prescindere dalla verità. E dire la verità non significa attaccare questo o quel magistrato (tutt'altro) ma solo impegnarsi affinché la Calabria resti in Europa e sia una Regione italiana tutelata dalla Costituzione e non una terra "all'ovest del Pecos" in cui vige la "Legge dei sette capestri".