«Innanzi tutto vi confermo un ringraziamento istituzionale e mio personale per l’impegno che avete profuso per portare a termine il processo cosiddetto Eni-Nigeria: impegno che avete attuato con efficienza, riserbo, rispetto del difficile ruolo che impone al giudice di evitare ogni coinvolgimento in polemiche di carattere mediatico o in iniziative che vogliano ledere il carattere di terzietà del giudice, che deve essere affermato nella sostanza e anche nelle forme comportamentali esterne». A scrivere è il presidente del tribunale di Milano, Roberto Bichi, che ha deciso di manifestare la propria solidarietà al collegio giudicante del processo a Eni e Shell - presidente Marco Tremolada, affiancato dai colleghi Mauro Gallina e Alberto Carboni -, conclusosi pochi giorni fa con l’assoluzione degli imputati «perché il fatto non sussiste». La lettera rappresenta una dura presa di posizione contro chi, nei giorni scorsi, ha sollevato dubbi sull’imparzialità del collegio, paventando una vicinanza, al momento non provata, tra i giudici del caso e le difese degli imputati. Il presidente Bichi non ci va leggero e tenta di mettere un punto alle polemiche interne al mondo della magistratura milanese, che nei giorni scorsi hanno intasato le chat whatsapp. «Stante la gravità delle insinuazioni fatte circolare e riprese e diffuse dai media, immagino il riflesso emozionale che ciò può avervi indotto - scrive Bichi -. Aver mantenuto la freddezza e la razionalità necessarie per gestire questo processo e la serenità per affrontare la camera di consiglio sono quindi vostri meriti “rafforzati”».  

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  Bichi sottolinea la forte pressione mediatica che avvolge il Tribunale di Milano, per il quale il processo Eni è stato, probabilmente, uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni. «Chi fa il giudice presso il Tribunale di Milano è frequentemente impegnato in processi di grande importanza, di forte rilevanza anche mediatica e a ciò si correla una condizione che rende il magistrato, o meglio, la sua decisione suscettibile di critiche (e ciò è fisiologico), ma purtroppo spesso di attacchi scomposti e a volte offensivi - afferma Bichi -. È una prassi che verifichiamo sempre più di frequente e che - al di fuori di eventuali iniziative a tutela previste dal nostro Ordinamento - ritengo che sia bene non determini il coinvolgimento diretto del magistrato o del Tribunale in reazioni che lo trascinino in polemiche; d’altra parte è nostro obbligo rispettare i principi di correttezza, riserbo ed equilibrio, che devono informare la nostra attività, specificatamente puntualizzati nel dovere di riservatezza con riguardo agli affari in corso di trattazione, come sancito normativamente dal D.Lgs n. 109/2006». Il presidente parla di «subdole insinuazioni», provenienti proprio dall’interno del mondo della magistratura e che costituirebbero per la magistratura stessa «una espressione di degrado gravissima». Il caso, stando alla lettera, non si chiuderà qui. Perché, scrive Bichi, «vi sarà modo di esaminare l’insieme delle circostanze una volta acquisito ogni elemento utile, per una valutazione compiuta della vicenda». I sospetti nascono dalle dichiarazioni di Piero Amara, l’avvocato ideatore del “Sistema Siracusa”, accusato di aver costruito un vero e proprio sistema per condizionare le inchieste, a fronte di mazzette e prebende A Milano Amara aveva dichiarato di aver saputo da Michele Bianco, a capo dell’ufficio legale di Eni, e dalla collega Alessandra Geraci, che Paola Severino e Nerio Diodà, tra i principali difensori del processo, “avevano accesso” al presidente Tremolada. A fine gennaio 2020 il procuratore Francesco Greco, mentre il processo era in corso, ha trasmesso le dichiarazioni di Amara alla procura di Brescia, competente per i reati commessi dai magistrati milanesi. Lì viene aperto un fascicolo a carico di ignoti, con le accuse di traffico di influenze illecite e abuso d’ufficio. Il pm Fabio De Pasquale tenta di far entrare tali dichiarazioni nel processo, ma senza riuscirci. Nel frattempo il fascicolo a Brescia si sgonfia - Bianco e Geraci negheranno i fatti attribuiti da Amara, che non verrà mai sentito né indagato per calunnia - e l’indagine viene archiviata. Ma quei fatti verranno ancora utilizzati per gettare ombre sull’operato del collegio. Il procuratore di Milano Francesco Greco ha replicato duramente attraverso una nota, con la quale ha ribadito la vicinanza all’aggiunto Fabio De Pasquale e al pm Sergio Spadaro, titolari dell’accusa nel processo Eni-Nigeria, che «nonostante le intimidazioni subite hanno svolto il loro lavoro con serenità, professionalità e trasparenza». La nota diffusa dal procuratore fa riferimento «ai recenti articoli di stampa sul processo» che mettevano in discussione l’opportunità di istruire lunghe e complesse indagini a carico dei grandi gruppi italiani che operano all’estero e ribadisce «che in materie di corruzione internazionale l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale è rafforzata dagli impegni assunti dallo Stato Italiano con la Convenzione OCSE di Parigi del 1997».