Aveva subito torture nel carcere gambiano per farlo confessare, non è mai stato sottoposto a processo e non ha avuto assistenza legale. Nonostante ciò, la Commissione territoriale di Caserta aveva rigettato la richiesta di protezione internazionale nei suoi confronti. Ma il giudice del Tribunale di Napoli, anche alla luce di quanto emerge dalle fonti internazionali consultate di ufficio, ha ritenuto gli elementi forniti dal ricorrente credibili. Infatti, sostiene il giudice, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione, in Gambia è frequente essere sottoposti a detenzione cautelare anche per anni in attesa di processo a causa dell’importante backlog e dell’inefficienza del sistema giudiziario. Per più di un anno in carcere senza essere sottoposto a processo Parliamo di un cittadino gambiano difeso dall’avvocata Amarilda Lici. Facendo ricorso al tribunale, il ricorrente ha lamentato che la Commissione territoriale di Caserta non avrebbe adeguatamente valutato la situazione di sicurezza del Gambia e non avrebbe considerato il pericolo concreto di danno grave che correrebbe in caso di rimpatrio, omettendo di tenere in conto che è stato già vittima di tortura durante il periodo di detenzione nel Paese di origine. Ha chiesto, pertanto, l’annullamento del provvedimento di diniego e in ogni caso il riconoscimento di protezione sussidiaria o, in subordine, della protezione umanitaria. L’uomo, nel suo Paese di origine, svolse il ruolo di guardiano notturno presso un cantiere. Racconta che una notte dei ladri fecero irruzione nel luogo, e dopo averlo legato e picchiato, rubarono dei macchinari e altri materiali. Il mattino successivo il datore di lavoro giunse al cantiere e, dopo averlo accusato di essere complice dei ladri e che la sua fosse una messa in scena, chiamò la polizia che lo condusse presso la prigione. Ci rimase per più di un anno, senza essere sottoposto a processo. La polizia lo torturò al fine di estorcergli, senza successo, una confessione. Un giorno si ammalò e fu ricoverato in ospedale. Riuscì a fuggire. Il giudice ha vagliato la posizione tenendo presente i report sulle carceri gambesi Dopo viaggi tortuosi, passando per il Senegal fino ad arrivare in Libia, riuscì a raggiungere l’Italia. Se dovesse essere rimpatriato, rischierebbe indicibili torture in carcere. Soprattutto per vendetta. Il giudice ha vagliato attentamente la posizione, tanto che nella decisione vengono riportati diversi report sulle carceri ufficiali e non e sulle loro condizioni. Dal report Coi Easo sul Gambia emerge che «le carceri erano sovraffollate e c’erano persone in carcere da molti anni senza processo per reati minori. I servizi igienici e l’assistenza medica erano inadeguati, il vitto era insufficiente e di scarsa qualità. I familiari potevano portare cibo ai detenuti in custodia preventiva (in attesa di giudizio), ma non ai detenuti condannati. Per i prigionieri politici o i condannati a lunghe pene detentive non era prevista la possibilità di lavorare. Fondato pericolo di subire gravi ed inumani trattamenti in carcere L’isolamento inflitto nella prigione di Mile Two ai detenuti condannati a morte e agli ergastolani rinchiusi nel braccio di sicurezza è stato considerato una forma di tortura dal relatore speciale delle Nazioni Unite. Secondo varie relazioni, molti detenuti nelle prigioni gambiane erano in carcere per reati di droga. Molti non erano gambiani ma cittadini di altri paesi».Per il giudice, alla luce delle dichiarazioni rese, ritenute internamente ed esternamente attendibili per i motivi esposti, si ritiene che il ricorrente in caso di rimpatrio correrebbe il fondato pericolo di subire gravi ed inumani trattamenti in carcere, come già avvenuto subito dopo l’arresto, il che accresce il rischio che le violenze possano ripetersi e pertanto ne consegue il parziale accoglimento del ricorso sotto il profilo della domanda di protezione sussidiaria.