L'Unione delle Camere Penali Italiane «esprime lo sdegno dei penalisti italiani per questa pagina di desolante inciviltà scritta dal servizio pubblico radio- televisivo». Sono parole durissime quelle espresse ieri in una nota in relazione alla puntata della trasmissione Presa Diretta , andata in onda lunedì sera su Rai Tre, e dedicata all’indagine “Rinascita Scott” condotta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro. «È semplicemente inaudito - sostiene la giunta presieduta dall'avvocato Giandomenico Caiazza - che proprio dagli schermi del servizio pubblico dell'informazione milioni di cittadini abbiano dovuto assistere alla unilaterale ed arbitraria selezione di atti del fascicolo del Pubblico Ministero di Catanzaro il cui dibattimento ha cominciato solo da qualche settimana a muovere i suoi primi passi».

E questo a noi, come vi abbiamo raccontato due giorni fa, ci era sembrato un paradosso: da un lato infatti il Tribunale collegiale di Vibo Valentia ha autorizzato le riprese audiovisive del maxiprocesso, vietando però di poterle trasmettere prima della lettura del dispositivo della sentenza di primo grado per «garantire l’assoluta genuinità della prova», dall'altro lato lunedì sera abbiamo visto l'intervista a una parte civile, video di persone private della libertà personale, collage di intercettazioni, riprese atte a esaltare il lavoro delle forze dell'ordine, e una ovazione al Procuratore Gratteri, in maniera «partigiana ed unilaterale, mostrando atti ed elementi di prova ancora ignoti al Collegio giudicante», dice l'Ucpi. Come aveva ribadito proprio Caiazza ieri mattina in un dibattito a Radio Tre «larga parte del nostro giornalismo giudiziario è abituato a confondere una ipotesi accusatoria con la verità storica, una indagine della Procura con una sentenza definitiva, una ordinanza di custodia cautelare con la irrevocabile prova della responsabilità dell’imputato». Riccardo Iacona, conduttore di Presa Diretta, ha replicato così al presidente dei penalisti italiani: «Caiazza vuole impedire ai giornalisti di raccontare le inchieste se non raggiungono il terzo grado di giudizio? Dove finiamo? Ma di cosa stiamo parlando? Con questo criterio, non si potrebbe raccontare la grande criminalità organizzata nel nostro Paese». La risposta è arrivata nella nota di ieri dell’Ucpi: «Questa penosa attitudine ancillare del nostro sedicente giornalismo di inchiesta, che si riduce a sfogliare, comodamente seduti, faldoni di atti forniti da uffici di Procura o di Polizia Giudiziaria all’uopo assiduamente e speranzosamente frequentati, per poi farsene scrupolosi divulgatori, dà la misura di questo colossale equivoco. La narrazione elegiaca di una indagine non ha nulla a che fare con il giornalismo di inchiesta, se – solo per fare un esempio- non si ha nemmeno la curiosità e soprattutto il coraggio intellettuale almeno di interrogarsi ( e magari di conoscere, leggere e poi spiegare alla pubblica opinione) gli oltre 140 provvedimenti giurisdizionali di annullamento e di revoca di misure cautelari adottate in quella stessa inchiesta».

Estremamente critica anche la presa di posizione del Coordinamento delle Camere Penali Calabresi: «Da avvocati penalisti abbiamo il dovere di resistere alle barbarie del processo virtuale, mediatico, anticipato, capace di condizionare non solo l’opinione pubblica, ma soprattutto i giudici che compongono il Tribunale del processo Rinascita Scott. Avevamo paventato - a ragione - che la spettacolarizzazione dell’inchiesta potesse nuocere alla dignità e alle sorti processuali dei soggetti coinvolti. Oggi si ha la certezza che la sovraesposizione degli atti d’indagine, interpretati come nelle migliori fiction dai loro stessi protagonisti, verranno valutate come prove della responsabilità penale dei singoli».

Ed è qui il secondo paradosso di questa storia: da una parte, come conclude l'Ucpi, siamo in presenza di una «sottocultura populista e giustizialista marchiata da un autentico analfabetismo costituzionale che relega il processo penale, cioè l’unico luogo che il nostro sistema penale riconosce come legittimato alla ricostruzione dei fatti e delle responsabilità, ad un evento secondario ed immeritevole di attenzione, cui affidare il compito solo di soddisfare le aspettative di condanna alimentate da una indagine che ha già adempiuto al compito di ricostruire la Verità» ; dall'altra parte la ministra della Giustizia qualche giorno fa in Commissione Giustizia alla Camera ha pronunciato queste parole: «A proposito della presunzione di innocenza, permettetemi di sottolineare la necessità che l’avvio delle indagini sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano dagli strumenti mediatici per un’effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza, uno dei cardini del nostro sistema costituzionale» .