Dopo il permesso premio per chi è in ergastolo ostativo, la Consulta dovrà valutare l’illegittimità costituzionale in merito alla preclusione dell’ammissione alla libertà condizionale in assenza della collaborazione con la giustizia. La data è fissata per martedì prossimo, 23 marzo. Se la Consulta dichiarerà incostituzionale l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui esclude tale beneficio ai non collaboranti con la giustizia, cadrà definitivamente l’ergastolo ostativo e si ritornerà all’origine: ovvero al primo decreto voluto da Giovanni Falcone, volto ad un discorso premiale della collaborazione, ma non precludendo in assoluto i benefici della pena. Infatti, prima del 1992, l’ergastolano del passato, pur sottoposto alla tortura dell’incertezza, ha sempre avuto una speranza di non morire in carcere. Il 4 bis di Falcone non precludeva l’accesso ai benefici Vale la pena, visto l’orrida speculazione del nome di Falcone, ricordare esattamente cosa prevedeva la versione originaria del 1991 del 4 bis per l'ergastolo ostativo. C’era la previsione di due distinte categorie di condannati, a seconda della riconducibilità, più o meno diretta, dei titoli di reato a fatti di criminalità organizzata o eversiva. Per i reati di “prima fascia” – associazione di tipo mafioso, i relativi “delitti-satellite”, sequestro di persona a scopo di estorsione e associazione finalizzata al narcotraffico – l’accesso ai benefici previsti dall’ordinamento penitenziario era possibile solo qualora fossero stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva. Per i reati “di seconda fascia” – comprendenti quei delitti «per i quali – ricorda la sentenza numero 149/2018 della Corte costituzionale - le connessioni con la criminalità organizzata erano, nella valutazione del legislatore, meramente eventuali» – si richiedeva, invece, l’insussistenza di elementi tali da far ritenere attuali detti collegamenti. In aggiunta a tale distinzione, singole previsioni normative stabilivano, quale ulteriore requisito per l’ammissione a specifici benefici, che i condannati avessero espiato un periodo minimo di pena più elevato dell’ordinario, a meno che non si trattasse di persone che avevano collaborato con la giustizia. A seguito della strage di Capaci del 23 maggio 1992, il legislatore reagì introducendo una diversa disposizione ispirata a finalità di prevenzione generale e di tutela della sicurezza collettiva: l’attuale 4 bis, il quale prevede che, per tutti i reati inclusi nell’elenco di cui al primo comma (c.d. reati di prima fascia), l’assegnazione al lavoro all’esterno e le misure alternative alla detenzione – ad eccezione della liberazione anticipata – possono essere concessi solo nei casi di collaborazione con la giustizia. Il dubbio della Cassazione anche sulla libertà condizionale Ebbene, dopo il permesso premio, la corte di Cassazione ha sollevato il discorso della preclusione assoluta della libertà condizionale nei confronti del detenuto all’ergastolo ostativo. Il caso specifico riguarda l’ergastolano Francesco Pezzino. Più volte gli è stata respinta l’istanza volta ad accertarne la collaborazione impossibile (art. 4 bis, comma 1-bis, ord. penit.), condannato all’ergastolo per un delitto incluso nella categoria di reati ostativi alla concessione di benefici penitenziari. La sua richiesta di accesso alla liberazione condizionale è stata dichiarata inammissibile dal Tribunale di sorveglianza de L’Aquila. Contro tale ordinanza ha proposto ricorso in Cassazione. Tra detenzione effettiva e riduzione di pena a titolo di liberazione anticipata, il ricorrente ha fin qui espiato oltre ventisette anni di carcere, superando così il termine minimo (ventisei anni) richiesto dall’art. 176 del codice penale perché il condannato a vita possa accedere alla liberazione condizionale. Il Tribunale di sorveglianza, però, a causa della preclusione all’esame del merito, non ha potuto valutare la sussistenza del sicuro ravvedimento. Eppure, ce ne sarebbero di elementi da valutare nei confronti di Pezzino: ha preso parte in maniera proficua all’opera di rieducazione, di cui si ha conferma dai provvedimenti di liberazione anticipata; si è avvalso con profitto delle possibilità di lavoro e studio offerte dai programmi di trattamento operativi nei vari istituti di detenzione, ha partecipato a concorsi letterari con riconoscimento di premi. Tutti elementi per valutare il suo ravvedimento. L'attuale 4 bis vieta la valutazione del magistrato Ma l’attuale 4 bis vieta a prescindere la valutazione da parte del magistrato per concedere o meno la libertà condizionale. In particolare, come scrive la Cassazione che ha sollevato la questione, «il dubbio di costituzionalità trova causa nel convincimento che la collaborazione non può essere elevata ad indice esclusivo dell’assenza di ogni legame con l’ambiente criminale di appartenenza e che, di conseguenza, altri elementi possono in concreto essere validi e inequivoci indici dell’assenza di detti legami e quindi di pericolosità sociale». Ribadiamo il concetto: qualora cadesse il paletto della collaborazione, non è detto che il giudice di merito riconoscerà poi – in base ad altri indici - l’assenza di legami del reo con il sodalizio criminale, quindi il venir meno della sua pericolosità sociale e, dunque, la concessione automatica della libertà condizionale. Stesso discorso vale per qualsiasi altra concessione. Concetto importante che va ribadito. Pensiamo al permesso premio. Nel 2019, la Consulta ha ritenuto che la rigida preclusione non fosse conforme alla Costituzione e alla finalità della pena che è rieducativa. L'effetto della decisione non è concedere a tutti il permesso premio ma permettere al giudice di sorveglianza di ponderare ogni situazione, rimanendo una presunzione di pericolosità per la natura del reato. Così eventualmente varrà per il discorso della liberazione condizionale. Ammessi dalla Consulta anche cinque amicus curiae Martedì prossimo, quindi, davanti alla Consulta ci sarà l’avvocata Giovanna Araniti, difensore dell’ergastolano Pezzini, che discuterà sull’illegittimità costituzionale dell’ostatività alla libertà condizionale. Importante ricordare che la Corte costituzionale ha ammesso ben cinque amicus curiae, ovvero le parti terze che, nonostante non siano parte in causa, offrono un aiuto alla Consulta per decidere. Sono il Garante nazionale delle persone private della libertà, Antigone, l’Altro Diritto, Nessuno Tocchi Caino e il Centro studi giuridici europei sulla grande criminalità. In realtà, sulla liberazione condizionale, si è già espressa la sentenza Viola della Corte europea dei diritti umani, sottolineando che la mancanza di collaborazione potrebbe essere non sempre legata a una scelta libera e volontaria, né giustificata unicamente dalla persistenza dell’adesione ai “valori criminali” e dal mantenimento di legami con il gruppo di appartenenza. Ciò è stato peraltro riconosciuto, già nel passato, dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 306 dell’11 giugno 1993, quando ha affermato che l’assenza di collaborazione non indica necessariamente il mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione mafiosa. La Cedu ha anche auspicato che la trasformazione della presunzione assoluta di pericolosità in presunzione relativa venga supportata da nuove soluzioni normative, affinché sia il Parlamento ad assumersi le proprie responsabilità politica. È al legislatore che spetta la delicata opera di bilanciare ragionevolmente le diverse finalità della pena, purché, non risulti del tutto sacrificata come accade attualmente. Ma ha preferito rimanere inerme. Quindi, ancora una volta, sarà compito della Consulta colmare il vuoto della politica. Forse, con il nuovo governo e soprattutto con una nuova ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che era giudice della Corte costituzionale ai tempi della decisione coraggiosa sul permesso premio, qualcosa potrebbe finalmente muoversi. Parliamo di una speranza in più per chi ha svolto un percorso trattamentale volto alla visione critica del passato e alla riabilitazione come prevede la costituzione italiana tutta centrata su una pena che sia proiettata verso la libertà.