«Nelle carceri italiane le persone trans detenute sono trattate ancora come un fenomeno clandestino, di fronte a cui il Dap non è riuscito a fornire risposte univoche». Queste le parole del garante campano delle persone private della libertà Samuele Ciambriello, dopo aver visitato le detenute trans ristrette nel piano terra del reparto “Roma” del carcere di Poggioreale.

Il Garante denuncia le forme di segregazione nei reparti precauzionali, insieme a sex offenders, collaboratori di giustizia o ex appartenenti delle Forze dell'ordine, con cui non condividono vissuto e bisogni. Solo nelle carceri di Napoli, Roma, Belluno, Firenze e Rimini sono previste sezioni dedicate alle persone transessuali detenute e solo nel carcere di Rimini queste sono sotto la vigilanza di personale femminile.

«Le condizioni critiche della detenzione – spiega il garante - sono esasperate dalla separazione cui tali persone sono sottoposte, non potendo partecipare ai percorsi trattamentali e alle attività rieducative previste dagli istituti. Da ciò consegue un disagio di tipo psichico, dovuto anche alla mancanza di relazioni familiari esterne, oltre che fisico per l'impossibilità di rivolgersi a medici specializzati». Infine lancia un allarme: «Nelle persone trans diviene ancora più impossibile declinare qualsiasi forma di affettività e sessualità. È una forte discriminazione, che viola il principio di uguaglianza previsto dalla Costituzione, oltre che l'imprescindibile obbligo rieducativo previsto dall'articolo 27. Occorre far di più, per evitare una doppia reclusione. Non per il futuro prossimo, ma per il nostro sobbollente presente».

Attualmente, secondo gli ultimi dati forniti dal Dap, risultano 58 persone transessuali detenute nelle nostro patrie galere. Fu a partire dagli anni’ 80, con il riconoscimento giuridico della persona transessuale e del diritto all’identità sessuale, che il penitenziario si trovò a fronteggiare una situazione “nuova”. Ciò nonostante si assistette per quasi un ventennio ad una sostanziale indifferenza del legislatore per una disciplina normativa idonea a regolamentare l’identificazione e l’assegnazione dei reclusi transessuali, silenzio che confermava la sua predilezione verso la differenziazione binaria dello spazio sociale in relazione al sesso.

Solo nei primi anni del XXI secolo, a fronte della reiterata inerzia legislativa nel rispondere alle esigenze di tutela avanzate dai detenuti in argomento, si svilupparono prassi che tennero conto della specificità della condizione transessuale nel contesto carcerario: in particolare, vennero disposte all’interno di alcuni istituti penitenziari dei “circuiti riservati” con lo specifico scopo di garantire, come recita il DPR 230/ 2000, art. 32 comma 3, «la collocazione più idonea per quei reclusi ed internati che per motivi oggettivamente esistenti ancorché talora connessi alle loro caratteristiche soggettive potevano temere aggressioni e sopraffazioni da parte dei compagni ( ad esempio, perché transessuali)» Dalla Relazione al Parlamento del 2018, il Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Mauro Palma, ha affermato come «sia più congruo ospitare tali sezioni specifiche in Istituti femminili, dando maggior rilevanza al genere, in quanto vissuto soggettivo, piuttosto che alla contingente situazione anatomica». Lo stesso, nel 2017, aveva valutato «con soddisfazione la stesura di un decreto del ministro che, almeno in via sperimentale, andava in questa direzione e ridefiniva le sezioni destinare alle persone transessuali. Purtroppo il decreto non è stato più emanato e il tema sembra sparito dall’agenda delle urgenze. Per questo raccomanda che sia almeno riaperta la discussione, anche al fine di considerare le perplessità che possano aver frenato il percorso». Vale la pena ricordare che la maggior parte della popolazione transessuale nei penitenziari proviene dal Sud America ( Argentina, Brasile, Colombia, Perù), mentre la parte restante principalmente dal Sud Italia. Sono persone che si trovano in carcere quasi sempre per prostituzione, spaccio di droga e/ o reati contro il patrimonio, commessi a causa della discriminazione messa in atto dalle famiglie e dalla società, che portano all’isolamento sociale e al bisogno di reperire denaro necessario al proprio sostentamento.