«È entrato in carcere con le sue gambe e ora è in carrozzina. Aveva tutti i suoi denti e ora ha perso il conto di quelli che non ha più, tra l'altro spariti dalla sua cella dopo una perquisizione». A segnalare il caso all’associazione Yairaiha Onlus è la compagna di un detenuto malato oncologico recluso a Opera. Ultimamente gli fuoriesce il sangue dal naso e dalla bocca con il sospetto che sia dovuto dalla terapia che sta facendo. Non solo. A ciò si aggiunge che è un detenuto in attesa di giudizio, ma è recluso in una sezione dove ci sono tutti condannati definitivi. Si professa innocente, dice di non appartenere al clan della ‘ ndrangheta e si sente minacciato. Il risultato è che vive, volontariamente, come se fosse a un 41 bis: 24 ore su 24 non esce dalla propria cella.

Carmine Multari, dimesso dall'ospedale dopo il Covid è ritornato a Opera

Parliamo di Carmine Multari, un caso seguito da Yairaiha Onlus e che del quale si è già occupato Il Dubbio quando, una volta dismesso dall’ospedale perché ricoverato per aver contratto il Covid 19, è ritornato nel carcere di Opera nonostante il suo complesso quadro clinico. La compagna ha denunciato che Multari non è mai stato seguito adeguatamente né dal centro clinico dove era prima di contrarre il Covid né ora dove si trova nel primo reparto del carcere milanese di Opera. «La notte passata ha perso sangue dalla bocca e dal naso ma nessuno sembra ascoltarlo quando dice che i farmaci non sono adeguati a quella che dovrebbe essere la sua terapia. Gli stanno distruggendo il corpo», racconta con preoccupazione la compagna. Il processo in corso si celebra presso il tribunale di Vicenza. Per questo ha chiesto di essere trasferito nel carcere vicino, ma anche perché c’è l’ospedale che lo aveva in cura e operato. Ma sta avendo difficoltà nonostante il parere positivo del Gup.

La preoccupazione si fa più concreta quando il detenuto ha appreso che tra i medicinali che gli vengono somministrati vi sarebbe un farmaco “salvavita”. Ma ad oggi non è stata comunicata alcuna patologia tale da mettere a rischio imminente la sua vita. Il suo legale, l’avvocato Lorenzo Manfro, anche alla luce dei fenomeni di sanguinamento tanto dal naso quanto dalla bocca, ha chiesto con urgenza di avere una copia della cartella clinica aggiornata per poterla girare al medico di fiducia esterno alla struttura e capire effettivamente le sue condizioni di salute.

Multari teme di incontrare affiliati alla 'ndrangheta

Ma, com’è detto, a questo si aggiunge un altro grande problema. Lo stesso Multari ha inviato alle autorità competenti, dal Dap ai giudici dell’udienza preliminare, una missiva che ha come oggetto la dichiarazione del divieto di incontro con la popolazione detenuta. Premette che si reputa estraneo alle accuse contestategli, ossia di essere membro delle cosche “ndranghetiste”. Denuncia che nella struttura del carcere di Opera sono presenti detenuti definitivi, condannati perché appartenenti / affiliati a cosche della ‘ ndrangheta. Multari sottolinea che ai sensi dell’articolo 14 dell’ordinamento penitenziario, la sua ubicazione non è quello dove è ubicato, poiché la legge prevede una separazione dai detenuti definitivi da quelli giudicabili. «Oggi – si legge nella lettera di Multari - sto vivendo nell’ansia e nella paura di ripercussioni da parte della popolazione detenuta». Per questo chiede espressamente il divieto di incontro con l’intera popolazione detenuta poiché teme per la sua vita. Contestualmente chiede di essere trasferito per motivi di ordine e sicurezza in altro istituto penitenziario. «Nel caso che non diate corso alla mia richiesta e nel caso in cui mi succeda qualche aggressione tutte le A. G. destinatarie della presente sarete chiamati a risponderne penalmente nelle dovute sedi giudiziarie», conclude la missiva indirizzata alle autorità competenti.

L’associazione Yairaiha Onlus ha segnalato il caso alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e al garante nazionale delle persone private della libertà. Segnala che, appunto, le condizioni attuali sono «assolutamente peggiorate non solo sotto il profilo della salute per mancanza di cure adeguate ma sembra che anche le condizioni di detenzione abbiano superato quel limite imposto dall'articolo 27 della nostra Costituzione». Per questo invita le autorità a voler intervenire affinché la dignità e la tutela dei diritti della persona vengano garantiti anche in condizioni di detenzione.