Per conoscere gli effetti della prescrizione così come voluta dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede toccherà attendere più o meno il 2025. Sarà quello, verosimilmente l’anno in cui sarà possibile, nel corso di un giudizio, sollevare la questione di legittimità costituzionale, sperando dunque di avere una risposta sull’effettiva aderenza della norma ai principi della Carta fondamentale, oggi da molti messa in dubbio.

Prima di quella data, spiega al Dubbio Vittorio Manes, professore ordinario di diritto penale all’Università di Bologna, appare difficile prospettare la questione, almeno stando alle cadenze del giudizio incidentale, che presuppone sempre la rilevanza della questione nel processo a quo. Per conoscere gli effetti della prescrizione così come voluta dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede toccherà attendere più o meno il 2025. Sarà quello, verosimilmente l’anno in cui sarà possibile, nel corso di un giudizio, sollevare la questione di legittimità costituzionale, sperando dunque di avere una risposta sull’effettiva aderenza della norma ai principi della Carta fondamentale, oggi da molti messa in dubbio. Prima di quella data, spiega al Dubbio Vittorio Manes, professore ordinario di diritto penale all’Università di Bologna, appare difficile prospettare la questione, almeno stando alle cadenze del giudizio incidentale, che presuppone sempre la rilevanza della questione nel processo a quo. In mezzo ci saranno le decisioni del ministro della Giustizia Marta Cartabia, che ha già annunciato di voler adottare «le necessarie iniziative di modifica normativa e le opportune misure organizzative volte a migliorare l'efficacia e l'efficienza della giustizia penale, in modo da assicurare la capacità dello Stato di accertare fatti e responsabilità penali in tempi ragionevoli (articolo 111 della Costituzione), assicurando al procedimento penale una durata media in linea con quella europea, nel pieno rispetto della Costituzione, dei principi del giusto processo, dei diritti fondamentali della persona e della funzione rieducativa della pena». Il tema, come noto, ha rappresentato il casus belli che ha portato alla caduta del governo Conte bis. E oggi che la maggioranza si è allargata e conta tra le proprie fila partiti dalla forte vocazione garantista, l’ambizione «è trovare intese sui valori costituzionali», come ha sottolineato il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto.

Nel frattempo a rimandare a data da destinarsi la possibilità di sottoporre la questione al giudice delle leggi è il Tribunale di Lecce, che ha rigettato il ricorso presentato dal segretario del Partito Radicale Maurizio Turco. Il politico aveva chiesto di mandare alla Corte Costituzionale «la legge sul “fine processo mai”», rivendicando il diritto di ogni cittadino ad un processo dalla ragionevole durata. Una sfida, dal momento che la richiesta è arrivata in assenza di un procedimento in corso. Turco avevo cercato una via alternativa: «È stata di recente la stessa Corte costituzionale (sentenza 278/ 2020) a riconoscere che tutti i cittadini hanno diritto a conoscere preventivamente la “tabella” del tempo che manca a proscioglierli da una eventuale accusa», aveva sottolineato. Il giudice Katia Pinto, però, non è stato dello stesso avviso. «L'azione di mero accertamento è proponibile soltanto quando esiste una situazione attuale di obiettiva incertezza di diritto che determina l'interesse ad agire per accertare la sussistenza di un diritto già sorto e che possa competere all'attore ed evitare, così, il pregiudizio concreto ( e non meramente potenziale) che può derivargli dalla descritta incertezza», ha scritto nella sua ordinanza, citando una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione civile del 1996.

«In difetto di prospettazione e/ o allegazione dell’appartenenza al ricorrente del diritto che si assumerebbe leso dalla legge 3/ 2019 sospettata di incostituzionalità, il presente giudizio pare sottoporre a questo Tribunale una questione di legittimità costituzionale in via principale, sottratta al sindacato del giudice ordinario». Ricorso inammissibile, dunque, e spese di lite a carico di Turco. Che assistito dagli avvocati Giuseppe Talò e Felice Besostri aveva denunciato la violazione degli articoli 3, 24, 25, 27, 111 e 117 primo comma della Costituzione, rivendicando l’esigenza di accertare «il diritto ad una ragionevole durata del processo, così come attribuito e garantito nel suo esercizio dalla Costituzione italiana, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dai vigenti Trattati sull’Unione Europea e il suo funzionamento e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione, e di difendersi in ogni stato e grado del giudizio mediante proposizione di ricorso efficace anche nei confronti degli organi dello Stato e della pubblica amministrazione». In quanto istituto sostanziale, avevano evidenziato gli avvocati, il legislatore non può intervenire sulla norma della prescrizione «in contrasto con i principi costituzionali, convenzionali ed unionali europei che tutelano le parti processuali da un’ottusa applicazione del principio tempus regit actum».

Nulla da fare, per ora. Bisognerà attendere un reato che, sulla base delle vecchie regole, si sarebbe già dovuto dichiarare estinto per prescrizione, cosa che con la nuova norma non sarà più possibile, sottolinea ancora Manes. E il più breve tempo di prescrizione previsto dalle vecchie regole è quello previsto per le contravvenzioni, ovvero quattro anni. «È necessario attendere che la questione sia rilevante nel giudizio a quo conclude -, ma deve essere applicabile la riforma Bonafede, in vigore dal primo gennaio 2020».