Il rapporto dell’Office of the Director of National Intelligence statunitense sull’assassinio di Jamal Khashoggi è chiaro: «Riteniamo che il principe ereditario Muhammad bin Salman abbia approvato una operazione ad Istanbul, in Turchia, per catturare o uccidere il giornalista saudita». Un rapporto che costituisce l'ennesima prova del carattere dispotico del regime saudita «e i tratti arcaici, profondamente autoritari e illiberali del governo di quel Paese». Un drammatico mosaico nel quale si inserisce il tassello italiano, «reso non meno inquietante dai suoi tratti miserevoli e grotteschi». A scriverlo sulla rivista "Questione Giustizia" di Magistratura democratica è Nello Rossi, già avvocato generale presso la Corte di cassazione e componente del Comitato direttivo della Scuola della magistratura. Che punta il dito contro Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio, che rivendica, attraverso la sua eNews, la scelta di difendere i propri rapporti con un Paese come l’Arabia Saudita. «Non solo è giusto - si è difeso Renzi -, ma è anche necessario. L’Arabia Saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico ed è uno dei principali alleati dell’Occidente da decenni. Anche in queste ore – segnate dalla dura polemica sulla vicenda Khashoggi – il Presidente Biden ha riaffermato la necessità di questa amicizia in una telefonata al Re Salman. Biden ha, tuttavia, ribadito la necessità di procedere con più determinazione sulla strada del rispetto dei diritti. Non dimentichiamo che, fino a cinque anni fa, in Arabia Saudita – per fare un esempio – le donne non potevano nemmeno guidare la macchina. Le esecuzioni capitali stanno scendendo da 184, nel 2019, a 27 nel 2020. Ma Biden ha chiesto giustamente di fare di più». Spiegazioni blande, per Rossi, che non ha gradito l'elogio di quello che il leader di Italia Viva ha definito «Rinascimento arabo ed altre amenità, tra cui l’invidiato costo del lavoro in Arabia Saudita (dovuto, per inciso, all’enorme numero di immigrati che vi lavorano)». Ci sarebbero, così, due Muhammad bin Salman. «Il primo, additato, ieri come oggi, come il mandante dell’efferato omicidio di un giornalista dissidente, come l’utilizzatore della violenza come metodo di governo, come un autocrate detentore di un potere incontrollato e incontrollabile - sottolinea Rossi -. Il secondo, elogiato, riverito, vezzeggiato, adulato. Da molti dei suoi sudditi, con l’attenuante della paura per la propria esistenza e per quella delle loro famiglie. Da un rappresentante del popolo italiano, con il corredo del cinismo politico e del tornaconto economico, e senza neppure la possibilità di invocare la foglia di fico della ragion di Stato o della necessità di mantenere in vita accettabili relazioni diplomatiche». La visita di Matteo Renzi, secondo Rossi, aveva uno scopo preciso: «Legittimare un governante screditato sulla scena internazionale, rinsaldando il suo potere all’interno del Paese e mostrandolo ai suoi sudditi come interlocutore privilegiato di chi ha ricoperto altissimi incarichi istituzionali in un grande Paese democratico. Che queste finalità, come è più che probabile, non siano state raggiunte non attenua la gravità dell’atto compiuto e non mitiga la responsabilità politica dell’inqualificabile iniziativa - si legge ancora -. Si è assistito ad una svendita a prezzi di saldo non dell’immagine di Matteo Renzi ma di quella del nostro Paese, messo in evidente imbarazzo dalla sconcertante performance televisiva di un suo esponente politico di primo piano. Se l’Italia vuole conservare un accettabile grado di credibilità nel contesto internazionale, deve stringere un cordone sanitario intorno a sortite come quella “araba” di Matteo Renzi, ricordandogli che essere stato presidente del Consiglio comporta oneri anche quando si è cessati dalla carica e che essere parlamentari di una Repubblica democratica non è compatibile – eticamente e politicamente - con l’adulazione dei despoti. Ne va della capacità del nostro Paese – ed è per questo che una Rivista di magistrati ritiene di dover intervenire - di svolgere il ruolo cui ambisce, e nel quale ha profuso tante energie e risorse, di protagonista nella tutela dei diritti umani fondamentali. Non vendere la primogenitura per un piatto di lenticchie è il minimo che si deve a quanti per la Repubblica democratica hanno lavorato, lottato, sofferto e persino dato la vita ed a coloro che sono impegnati, in ogni parte del mondo, nella salvaguardia del diritto e dei diritti, di contro alla violenza e alla sopraffazione».