«Spetta allo Stato, e non alle Regioni, determinare le misure necessarie al contrasto della pandemia». E ancora: è obbligatorio reintegrare il lavoratore in caso di “licenziamento economico” se il fatto posto alla base dello stesso è «manifestamente insussistente». A stabilirlo è la Corte Costituzionale, che si espressa con una doppia pronuncia su due questioni dirimenti: restrizioni anti Covid e tutela del lavoro. Nel primo caso, la Consulta ha accolto il ricorso dell’allora Governo Conte contro la legge della Regione Valle d’Aosta, approvata lo scorso dicembre, «limitatamente alle disposizioni con le quali la legge impugnata aveva introdotto misure di contrasto all’epidemia differenti da quelle previste dalla normativa statale». La decisione dei giudici costituzionali è giunta a termine della camera di consiglio di oggi dopo la discussione di martedì in udienza pubblica. In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza che avverrà nelle prossime settimane, la Corte – che lo scorso 14 gennaio aveva sospeso in via cautelare l’efficacia della legge della Valle d’Aosta - ha ritenuto che il «legislatore regionale, anche se dotato di autonomia speciale, non può invadere con una sua propria disciplina una materia avente ad oggetto la pandemia da Covid-19, diffusa a livello globale e perciò affidata interamente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, a titolo di profilassi internazionale». In merito ai licenziamenti, la Consulta ha esaminato la questione di legittimità sollevata dal tribunale di Ravenna sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - come modificato dalla cosiddetta legge Fornero (la numero 92 del 2021) - nel punto in cui prevede la facoltà, e non il dovere, del giudice di «reintegrare il lavoratore arbitrariamente licenziato in mancanza di giustificato motivo oggettivo». La questione - fa sapere Palazzo della Consulta in attesa del deposito delle motivazioni - è stata dichiarata fondata dai giudici delle leggi con riferimento all’articolo 3 della Costituzione: la Corte ha ritenuto che è «irragionevole» - in caso di insussistenza del fatto - la «disparità di trattamento» tra il licenziamento economico e quello per giusta causa. Per quest’ultima ipotesi è infatti previsto l’obbligo della reintegra mentre nell’altra è lasciata alla discrezionalità del giudice la scelta tra la stessa reintegra e la corresponsione di un’indennità. Secondo il rimettente, il Tribunale di Ravenna, «tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo fondato su un fatto (manifestamente) inesistente e il licenziamento per giusta causa fondato su un fatto (semplicemente) inesistente non sussisterebbe una differenza ontologica tale da giustificare un diverso trattamento sanzionatorio». Dal momento che «la qualificazione del licenziamento», secondo i giudici di Ravenna, «dipenderebbe solo dall’individuazione scelta dal datore di lavoro che inciderebbe così sul diritto di azione del lavoratore, causando una lesione dell’articolo 24 della Costituzione» secondo il quale «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi».