Le svolte politiche creano sempre un clima da luna di miele. All’inizio. Vale anche per la giustizia. Giovedì scorso la ministra Marta Cartabia ha trovato in pochi minuti un punto d’incontro sulla prescrizione dopo due anni di risse: semplicemente, ha ricordato che se pure esiste l’esigenza di «effettività della pena» non si può comunque andare contro l’articolo 111 della Costituzione e la ragionevole durata del processo. Logica inattaccabile, tradotta in un ordine del giorno collegato al Milleproroghe, sul quale Montecitorio dovrà votare oggi. Ma già ieri, il piccolo miracolo politico di Cartabia è stato insidiato dalle parole del predecessore Alfonso Bonafede: «Sulla prescrizione sono arrivati segnali positivi. Detto questo, per noi», secondo l’ex ministro della Giustizia 5 stelle, «deve restare il punto di caduta citato nel post che ha lanciato il voto su Rousseau, ossia il cosiddetto lodo Conte- bis, che introduce una distinzione tra condannati e assolti. Siamo disposti a muoverci esclusivamente nel perimetro del lodo». Parole affidate all’intervista di ieri sul Fatto quotidiano.

Il lodo Conte bis è molto diverso dal lodo Cartabia: non pone limiti di durata alle fasi del processo successive al primo grado, per chi in primo grado è condannato. In pratica, conferma il blocco della prescrizione senza che si possa prima verificare se un’eventuale riforma del processo riesca davvero a scongiurare la follia dell’imputato a vita. È proprio per rimediare al paradosso, che il “fronte garantista” aveva presentato, in commissione Affari costituzionali, emendamenti al Milleproroghe: avrebbero congelato la legge Bonafede. Il lodo Cartabia ha prodotto come prima conseguenza proprio la rinuncia al voto su quegli emendamenti. E infatti il decreto Milleproroghe ieri è arrivato illeso, riguardo alla prescrizione, nell’aula di Montecitorio. Ma ci sono almeno tre incognite a offuscare di nuovo la tregua. Intanto, a sfidare l’equilibrio sul penale trovato da Cartabia all’interno della maggioranza, ha provveduto il solo partito rimasto interamente all’opposizione, Fratelli d’Italia, che ha invece proposto con una propria modifica, respinta dalla Camera, il congelamento della norma Bonafede. Si è insomma rimaterializzato, seppur senza successo, il siluro disinnescato, «per rispetto nei confronti di Cartabia», da Enrico Costa di Azione, Francesco Paolo Sisto e Pierantonio Zanettin di Forza Italia, Lucia Annibali di Italia viva, Riccardo Magi di + Europa e dal gruppo della Lega. Seconda questione: è ovvio che le parole di Bonafede rischiano di destabilizzare il clima di fiduciosa attesa suscitato dalla guardasigilli nel fronte garantista. Ma soprattutto, il riaffiorare di un contrasto così insidioso sul processo penale può riverberarsi sulle altre partite che attendono la maggioranza, compreso il Recovery plan.

A partire da oggi, nelle commissioni Giustizia di Senato e Camera si terranno le audizioni sul Piano di ripresa, in vista del parere da trasmettere alle commissioni Bilancio. Ed è chiaro che l’attività consultiva riguarderà gli interventi relativi all’efficienza della giustizia. Ma una maggioranza che riscopre, nelle parole di Bonafede, di essere ancora divisa sulla prescrizione, sul nodo costato la crisi del Conte bis, potrà serenamente confrontarsi sulla destinazione delle risorse per l’efficienza dei tribunali? Come minimo la discussione rischia di essere meno serena del previsto. Anche considerato che le parti del Recovery dedicate alla giustizia saranno riviste e riscritte, ovviamente, da Marta Cartabia. Cioè dalla promotrice della tregua sulla prescrizione raggiunta pochi giorni fa.

Ieri nell’Aula di Montecitorio il lodo della guardasigilli ha retto bene. Il ministro 5s ai Rapporti col Parlamento Federico D’Incà ha ribadito che «il confronto è in corso», non ha ottenuto da Fratelli d’Italia lo stop all’emendamento sulla prescrizione, che però è stato votato solo dal partito di Giorgia Meloni: 29 favorevoli e 227 contrari. Si sono astenuti in 162, vale a dire gli interi gruppi di Lega, Forza Italia e Italia viva, con Azione che non ha partecipato allo scrutinio. Lucia Annibali, renziana che ha ideato e prestato il nome all’emendamento anti Bonafede, ha ribadito che il passo indietro è legato alla «convinzione che con il nuovo governo, e con la nomina della ministra Cartabia, si sia segnata una discontinuità importante» e che si arriverà a «riaffermare una cultura giuridica garantista e coerente con i principi costituzionali». Ma Annibali ha tenuto a ripetere come, rispetto alla riforma Bonafede, i renziani restino «profondamente contrari».

Le parole di Bonafede sul lodo Conte bis come unica possibile concessione dei cinquestelle sono rimaste sullo sfondo. Oggi la road map della nuova guardasigilli sarà messa ai voti come ordine del giorno. E sarà importante verificare il tono delle dichiarazioni in Aula. Può darsi che la fiducia delle forze garantiste in una ministra come Cartabia tenga lontano il rischio di nuove fibrillazioni. Ma la guardasigilli punta a risolvere il nodo, non a ignorarlo. La riforma penale arriverà al dunque entro marzo, quando scadrà il termine per gli emendamenti nella commissione Giustizia di Montecitorio. L’intesa trovata nella nuova maggioranza sarà tradotta in una modifica della prescrizione che, dal punto di vista di Cartabia, non può ridursi al lodo Conte bis. Ed è lì che si capirà se davvero se i cinquestelle metteranno, come anticipato da Bonafede, in discussione l’equilibrio.