Chiamatele coincidenze. Da una parte una guardasigilli come Marta Cartabia: costituzionalista, presidente emerita della Consulta, prima vera militante del garantismo alla guida del dicastero di via Arenula dopo anni contrastati. Dall’altra a presiedere l’Anm c’è un signore che si chiama Giuseppe Santalucia, che è una sorpresa, per chi non ne conoscesse già le idee, proprio quanto a cultura delle garanzie. Una convergenza da cui trarre la migliore premessa per la fase nuova della politica giudiziaria. Soprattutto se si pensa alle posizioni non scontate che il dottor Santalucia, magistrato di Cassazione, ha su prescrizione — «serve un meccanismo che governi i tempi del processo» — e carcere — «anche per il più efferato dei criminali vale il principio della pena come rieducazione, e la riforma penitenziaria dovrebbe guardare alla stella polare dell’articolo 27».

Presidente Santalucia, una ministra come Cartabia può aiutare la magistratura nella cosiddetta autoricostruzione?

Credo proprio di sì. Non vuol dire che riconosca limiti nei precedenti ministri, non dico questo. Ma mi sento di confidare davvero nell’aiuto che la ministra Marta Cartabia potrà dare alla magistratura nel nuovo e difficile percorso che ci aspetta. Presidente emerita della Consulta, ordinario di Diritto costituzionale: sono titoli che favoriscono evidentemente una dialettica sui problemi dell’ordine giudiziario, su questioni così strutturali. Il profilo della guardasigilli susciterà anche nell’Anm la piena disponibilità a collaborare, nelle forme che la ministra riterrà opportune, al percorso di riforme in arrivo sulla giustizia.

L’ex ministro Bonafede torna a difendere il “lodo Conte bis”: ma si può lasciare in vigore la norma dell’ex guardasigilli senza sapere se la riforma del processo, seppure fosse approvata in pochi mesi, produrrà davvero l’accelerazione sperata?

È una domanda a cui credo debba rispondere la politica, non il sottoscritto: per parte mia faccio una considerazione tecnica. Da noi la prescrizione ha assunto una funzione duplice: da una parte presidiare il diritto all’oblio, dall’altra assicurare una durata non irragionevole ai processi. Certo, la seconda funzione è indebita. Però un meccanismo che governi i tempi del processo serve, va trovato, nel momento in cui la prescrizione viene abolita dopo una condanna in primo grado.

Quindi non ci si potrebbe accontentare del “lodo conte bis”?

Chiariamo una cosa: dire che la prescrizione del reato, e ribadisco del reato, debba assicurare il diritto all’oblio anche dopo che sia stato ordinato il rinvio a giudizio, o addirittura dopo una sentenza di condanna in primo grado, è contro la logica.

In che senso?

Non si può più parlare di diritto all’oblio nel senso che non c’è più oblio dal momento che la memoria della vicenda è stata vivificata dall’esercizio dell’azione penale. Però subentra la questione che dicevo, il governo dei tempi, e dunque il meccanismo della cosiddetta prescrizione processuale, per esempio.

Lei condivide l’idea che se una fase processuale dura troppo l’azione penale è improseguibile?

Non entro nel merito delle conseguenze. Non mi interessa dire qual è il meccanismo che preferisco, per il semplice motivo che non è il caso di spostare l’attenzione sul dettaglio. Conta il principio. Una conseguenza per la durata eventualmente irragionevole del processo deve pur esserci, se viene meno l’impropria funzione limitatrice assunta finora, nel nostro ordinamento, dalla prescrizione. In Paesi in cui il termine di estinzione del reato non è previsto nelle forme in cui esisteva da noi, prima della riforma del 2019, c’è sempre e comunque un governo dei tempi processuali.

I magistrati sul carcere sono stati anticipatori coraggiosi, con le ordinanze sui domiciliari anti covid, ma anche critici, in altri casi, su quell’istituto: quale anima prevarrà?

Spero ne prevalga semplicemente una ispirata al principio costituzionale del fine rieducativo della pena. Che naturalmente considera anche i casi particolari, i reati più gravi, ivi compresa la persistente legittimazione, a mio giudizio, del 41 bis. Ne ha parlato su La Stampa il dottor Pignatone. Ma anche nei confronti del più terribile dei criminali va comunque affermato il principio secondo cui il carcere ha una funzione rieducativa. In ogni caso va tenuta come stella polare sempre e comunque l’idea contenuta nell’articolo 27: si deve operare in vista della risocializzazione del condannato.

Quindi ci sarà spazio per una riforma del carcere?

Me lo auguro. La riforma era stata predisposta, poi non se ne sono realizzati alcuni degli aspetti centrali. Credo li si debba recuperare. Innanzitutto la diversificazione delle misure, a seconda del profilo del condannato: non è pensabile che la detenzione in carcere debba rappresentare la sola alternativa alla sanzione pecuniaria. Come ha scritto il professor Fiandaca sul Foglio, non è questione di buonismo ma di utilità sociale: senza una nuova visione dell’esecuzione penale non si riuscirà a ridurre la recidiva. Laddove riuscire a ridurla mi pare sia l’interesse primario della collettività.

Alcuni magistrati dell’Anm rilanciano l’iniziativa per il sorteggio al Csm: perché la maggioranza che si riconosce nella sua presidenza è contro il sorteggio?

C’è una questione costituzionale, innanzitutto: l’articolo 104 parla di magistrati “eletti”: da lì non si scappa, è difficile giocare con le parole. A meno che non si modifichi la Costituzione, io credo che anche le ipotesi di sorteggio temperato o qualificato siano fuori dal perimetro della Carta. Poi c’è una considerazione più personale, di cui sono altrettanto convinto.

Vale a dire?

Non credo che la selezione random aiuti la magistratura a superare la crisi in cui si è venuta a trovare. Premesso che dobbiamo riconoscere i fatti, e cioè che la magistratura si è lasciata andare, che serve una profonda ristrutturazione culturale. Premesso che certamente ci saranno ulteriori verifiche disciplinari sui comportamenti che sono emersi, premesso tutto questo io non credo che tornerebbe utile trovarsi con un Csm formato per sorteggio. Noi magistrati non dobbiamo e non possiamo sottrarci, e dico di più: forse la crisi drammatica in cui il Paese si trova potrà, per cosi dire, costringere anche noi magistrati a completare questo processo di ricostruzione. Però mi sento di dire che non si fa tutto con le regole, che le procedure non bastano. Dobbiamo recuperare il senso della nostra funzione, prima di tutto. La vera riforma, che non si può scrivere ma che si deve profondamente realizzare, è questa.