Con Marta Cartabia converrà ricorrere a uno specifico aggiornamento formativo. Semplice, in fondo. Testo di riferimento: le sentenze della Corte costituzionale. Nella loro parte conclusiva in genere sono scritte con un periodo molto lungo, densissimo, che ha nella sua ampiezza il pregio di contenere tutto, ma proprio tutto, pur senza entrare nei dettagli. Sono affermazioni di principio astratte in grado di contemplare tutti i possibili casi concreti. Bene. La tecnica del “lodo Cartabia” sulla prescrizione, proposto dalla ministra giovedì sera e fulmineamente condiviso da tutta la maggioranza, è come una sentenza della Consulta. Basta leggerlo. Forma scelta: ordine del giorno, che sarà messo ai voti nelle prossime ore alla Camera, collegato al decreto Milleproroghe. Il testo impegna il governo «ad adottare le necessarie iniziative di modifica normativa e le opportune misure organizzative volte a migliorare l’efficienza della giustizia penale, in modo da accertare fatti e responsabilità in tempi ragionevoli ( articolo 111 della Costituzione), assicurando al procedimento penale una durata media in linea con quella europea, nel pieno rispetto della Costituzione, dei principi del giusto processo, dei diritti fondamentali della persona e della funzione rieducativa della pena». C’erano capigruppo e responsabili Giustizia di tutti i partiti che sostengono il governo Draghi. Come nelle sentenze della Corte, la norma sulla prescrizione non è esplicitamente evocata, ma è il punto di caduta sostanziale.

La "norma Bonafede" cambierà

L’assunto induce al ritiro degli emendamenti “anti Bonafede” anche Forza Italia, la Lega e Italia viva, in linea con quanto già comunicato martedì da Enrico Costa ( Azione) e Riccardo Magi (+ Europa). Ma è evidente la norma Bonafede cambierà, e che sarà corretta ben oltre il lifting del “lodo Conte bis”. Cartabia si muoverà sì in modo da assicurare «effettività nell’accertamento dei reati e delle responsabilità personali». Ma anche secondo i principi costituzionali del «giusto processo» e della «funzione rieducativa della pena». Cosa vuol dire? Primo: il giusto processo, secondo l’evocato ( dalla guardasigilli) articolo 111, è quello che si celebra a una distanza non smisurata dal presunto illecito, altrimenti è impossibile per l’imputato difendersi, trovare chi si ricordi cosa avvenne davvero e possa testimoniare in suo favore. Secondo: se la durata deve essere «ragionevole» in modo da essere anche compatibile con la «funzione rieducativa della pena», vuol dire che non ha senso condannare qualcuno trent’anni dopo il fatto, quando cioè è un’altra persona ( non ha senso se non per i reati più gravi, che non si prescrivevano mai già prima di Bonafede). Ergo, la ministra reintrodurrà eccome una prescrizione, un limite massimo oltre il quale il processo non va avanti, altrimenti il processo diventa ingiusto e la pena non è rieducativa, ma vendicativa.

La ministra ha chiarito che la fretta compulsiva non serve

I tempi? Il Movimento 5 Stelle tira un sospiro di sollievo: la norma Bonafede non sarà congelata da emendamenti al Milleproroghe. Ma non si tratta di un rinvio alle calende greche. Lo sanno bene anche i due pentastellati presente alla riunione: il ministro ai Rapporti col Parlamento Federico d’Incà e, soprattutto, Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia della Camera, dov’è in discussione il ddl penale. Cartabia ha sì ricordato che la norma Bonafede, seppur già in vigore da Capodanno 2020, «dispiegherà i propri effetti non immediatamente», e che la fretta compulsiva non serve. Ma la logica va benissimo anche agli altri protagonisti del vertice: i capogruppo in commissione Giustizia del Pd, Alfredo Bazoli, della Lega, Roberto Turri, e di Leu, Federico Conte. E poi Enrico Costa di Azione e il responsabile Giustizia di FI Francesco Paolo Sisto. E per capire il senso del loro sollievo, torna utile quanto detto poche ore dopo l’incontro, cioè ieri mattina, da Bazoli: «Ho manifestato, per conto del Pd, apprezzamento per l’approccio e il metodo, volti alla più larga condivisione dei percorsi su cui fare incamminare le riforme. E ho condiviso la proposta, che ricalca quanto abbiamo più volte suggerito per la nuova fase politica: affrontare nodi delicati e difficili come quelli della prescrizione dentro il campo più largo della riforma penale, per trovare soluzioni condivise che tengano insieme i principi di rango costituzionale della ragionevole durata, delle garanzie dell’imputato, dei diritti della persona offesa». Poi il passaggio decisivo: «Abbiamo suggerito alla ministra di non sprecare il lavoro fatto in commissione sul ddl di penale già incardinato da mesi, e anzi di partire da lì per individuare le soluzioni tecniche su cui lavorare». Proposta ben accolta da Cartabia. Il che però dice tutto sui tempi: non si tratterà di un lavoro di là da venire, in capo a lunghe mediazioni. Non può essere così perché i tempi del Recovery non lo consentono: le riforme del processo servono anche a rassicurare chi elargirà quei fondi, cioè l’Unione europea. E ancora, come Bazoli sa, il termine per proporre emendamenti alla riforma penale non arriverà chissà quando: è fissato di qui a un paio di settimane, cioè l’ 8 marzo. Cartabia potrà convenire su una proroga, magari di un mese. Ma se per scrivere un ordine del giorno su un dilemma che ha provocato la caduta del precedente governo le è bastata mezz’ora di riunione a Montecitorio, per superare il “lodo Conte bis” e ripristinare un limite massimo di durata ai processi, e cioè reintrodurre la prescrizione nei casi più gravi, non avrà certo bisogno di un’intera legislatura. Al massimo un mese, appunto.