Non ultimo tra i problemi che il nuovo governo si troverà ad affrontare vi è il modello di gestione della pandemia.

Semplificando, fin qui si è adottato un modello nel quale il governo della pandemia era affidato alla gestione del rubinetto dei divieti: nelle fasi di aumento dei contagi si stringeva il rubinetto, aumentando il novero dei divieti; nelle fasi favorevoli si allentava la stretta, rimuovendo gradualmente questo o quel divieto. Dopo un anno di sperimentazione forse siamo pronti a passare a un modello diverso, in cui alla logica apertura/chiusura si sostituisce il fine tuning delle regole.

Qualche esempio: piuttosto che dire che cinema e teatri sono tutti chiusi, è possibile immaginare regole che disciplinino, anche molto severamente, gli accessi (quante persone in rapporto alla capienza massima, che durata massima dello spettacolo, assenza di intervalli, eventualmente sottoposizione a test preventivi individuali rapidi…). Piuttosto che chiudere tutti i ristoranti, o chiuderli tutti a cena lasciandoli aperti a pranzo, disciplinare con rigore accessi, spazi, controlli… Piuttosto che “chiudere” le regioni, regolare il viaggio di chi si muove, magari con mezzo proprio: test preventivo, disciplina delle soste negli autogrill, quante persone in auto…

È vero che i due modelli sono e saranno ibridi: già oggi accanto alle chiusure esistono regole, e anche le regole potranno prevedere taluni divieti. Ma tra i due modelli cambia il focus, in qualche modo si rovescia l’onere della prova: nel secondo modello lo Stato si impegna a non usare i divieti fin quando non si dimostri che non è possibile adottare un sistema di regole che – lasciando aperta quella specifica attività – consenta di contenere significativamente il rischio di contagio.

Il passaggio al modello delle regole non è auspicabile solo – e non sarebbe poco – perché più aderente a uno Stato di diritto. Ma anche perché produrrebbe effetti economici significativi, per le categorie interessate e per lo stesso bilancio pubblico.

È ormai chiaro che ogni qual volta lo Stato vieta una determinata attività ne azzera la capacità di generare ricchezza, e sarà costretto a “ristorare” (mai abbastanza peraltro) imprese e persone che ne sono colpite. Una sostituzione dei divieti con regole di comportamento avrebbe effetti meno catastrofici: singole imprese potrebbero trovare il rispetto delle regole troppo oneroso, e scegliere la chiusura; ma questo farebbe salire i prezzi, rendendo quindi più conveniente per altri accettare gli oneri imposti dalle regole e rimanere aperti.

Ecco: piuttosto che interrogarsi su quale ministro della Salute sceglierà il Presidente Draghi, occorrerebbe chiedersi se è orientato, ogni qual volta il suo ministro gli proporrà una chiusura, a chiedergli conto del perché invece della chiusura non propone regole di comportamento.