Uno dei nodi principali del nuovo governo che Mario Draghi si sta prestando a comporre è quello relativo alla giustizia. Sì, perché se la parola d’ordine è far ripartire l’economia, la giustizia (non solo civile) è strettamente correlata. Non solo dal punto di vista repressivo, ma anche quello relativo all’esecuzione penale. Più è efficiente e tutela i diritti fondamentali, e meno si hanno ricadute disastrose nel nostro tessuto economico. Tra le proposte del Pd al premier incaricato Mario Draghi c’è anche il compimento della riforma dell’ordinamento penitenziario. Se c’è un politico che si batte da decenni per una giustizia giusta e un’esecuzione penale che metta al centro la nostra costituzione, è senz’altro Rita Bernardini del Partito Radicale. Ha da poco interrotto lo sciopero della fame, grazie anche a un accorato appello firmato da decine di parlamentari di diversa estrazione politica. Dalla Lega, al Pd, passando anche per il M5s. Perché l’ha commossa questo appello? Non solo perché è un omaggio all’iniziativa non violenta, ma anche perché dicono una cosa ragionevole sul fatto che ci voglia un governo in piena funzione e che quindi abbia ottenuto la fiducia dalle camere. Questo per avere un interlocutore nella pienezza dei suoi poteri. Ma attenzione, quando aggiungono “per dare le risposte necessarie alla sempre più stressata comunità penitenziaria”, allora hanno fatto una importante ammissione: ovvero che le risposte necessarie finora non ci sono state. Tale ammissione diventa ancora più significativa dal momento in cui il primo firmatario dell’appello è il deputato del M5S Mario Perantoni, in veste di presidente della commissione Giustizia. Quindi lei lo vede come un segnale di cambiamento, non dico radicale, ma almeno di attenzione alla problematica penitenziaria? Non radicale sicuro, ma nemmeno adatto al tipo di governo uscente. Quello che si sta formando ha come missione la ripartenza del nostro Paese e quindi inevitabilmente deve intervenire dove ci sono evidenti violazioni dei diritti umani. Chiaramente parliamo, di fatto, di un governo tecnico e quindi non di visioni politiche. Per questo, non credo che sia possibile pretendere una riforma epocale della giustizia. Ma nello stesso tempo, se pensiamo alla prescrizione, mi sembra che ci sia – tranne il Movimento 5Stelle – un discorso unanime. Ovvero quella di mandare in soffitta la norma voluta da Bonafede. Il governo Draghi sarà sicuramente concentrato sul tema dell’economia per far ripartire l’Italia. Ma lei pensa che la questione della giustizia penale sia correlata? Certo che c’entra. Io non escludo che prenda in considerazione anche l’ipotesi amnistia. Siamo chiari sul punto. Il governo, per far ripartire l’Italia, non può fare discorsi a lungo termine, perché durerà – se durerà – altri due anni, a fine legislatura. La giustizia ingolfata da milioni di procedimenti non potrà ripartire con l’aumento del personale perché richiederebbero tempi lunghissimi. Ma anche se dovessero fare in modo di implementare la pianta organica, ripartirebbero comunque da una mole di arretrato improponibile. Quindi l’amnistia cancellerebbe tutti quei reati, dipende poi dal tipo che vorranno varare, che ingolfano i tribunali. Pensiamo a quei reati edittali, inferiori a una pena di due anni, che sono almeno un milione. Ecco, quello sì che sarebbe un ristoro alla giustizia che consentirebbe di concentrarsi su reati più importanti. Ma anche risolvere le problematiche penitenziarie è utile all’economia? Certo. Pensiamo al sovraffollamento. Calpesta i diritti umani e comporta il trattamento disumano e degradante. Non penso solo ai soldi che lo Stato deve giustamente sborsare nel caso dei ricorsi vinti, ma anche sul fatto che il sovraffollamento non permette una adeguata assistenza sanitaria, l’igiene e l’opera trattamentale. Quest’ultima fondamentale per il discorso della rieducazione ed evitare la recidiva, quindi utile alla sicurezza e non danneggia l’economia del Paese. Pensiamo anche alla questione del lavoro. Nel libro “Vendetta pubblica” di Marcello Bortolato ci sono dati interessanti. Uno di quelli dimostra che quando dentro il carcere c’è la possibilità di studio e di lavoro, la recidiva si riduce all’uno percento. In mancanza del lavoro qualificante per impari un mestiere, è molto più facile che una persona ritorni nuovamente a delinquere per necessità. Il Pd ha messo sul tavolo anche la riforma dell’ordinamento penitenziario. Mi chiedo perché abbiano dovuto aspettare Draghi per farla. Detto questo, l’accolgo con favore visto che noi del Partito Radicale, attraverso l’azione non violenta, abbiamo instaurato un dialogo con l’allora guardasigilli Andrea Orlando affinché la portasse a termine. Poi sappiamo come purtroppo è andata. La riforma è incompleta, mancano tutti i punti per incentivare e sostenere il sistema di esecuzione penale esterna, delle pene alternative e della giustizia riparativa. Nel contempo, però, è urgente fare interventi immediati per sfoltire le carceri sovraffollate. Ritorniamo al governo Draghi, chi si aspetta come ministro della Giustizia? Io tifo per la giurista e già presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia. Non solo perché ha conosciuto il carcere partecipando, da membro della Consulta, al famoso viaggio nei penitenziari per conoscere da vicino la sofferenza di chi è ristretto, ma perché da presidente ha dimostrato di quanto ha a cuore la nostra Costituzione. Noi, in fondo, stiamo da sempre parlando di questo. Il rispetto dei diritti fondamentali. Nel caso avremmo finalmente una persona che non solo ci capisce di giustizia, ma sa quali sono i principi cardine di una giustizia amministrata secondo i precetti costituzionali. Cartabia è una garanzia da questo punto di vista. In attesa di avere un interlocutore al governo, un’ora al giorno lei fa una passeggiata sotto il ministero a Via Arenula. È una iniziativa che chiamiamo “Memento” e sta a significare che, a prescindere da chi sarà fra qualche giorno il ministro della Giustizia, io sarò lì a vigilare, insieme a chiunque voglia sposare la nostra azione non violenta. Tante sono le personalità che hanno deciso di farmi compagnia. Ieri è stata la volta di Totò Cuffaro che, come tutti sanno, è un ex detenuto. Ha scontato l'intera sua pena consegnandosi nel carcere di Rebibbia. Non solo ha scontato il carcere con grande dignità, ma ha anche aiutato i compagni di cella a presentare le istanze. Il giorno prima, invece, sotto il ministero è venuta l’attrice e scrittrice Francesca Daloja. Mi ha fatto piacere parlare con lei del suo libro intitolato “Corpi Speciali”. Uno pensa subito all’esercito o cose del genere, invece riguarda proprio il corpo umano. Lei sostiene la tesi, alla quale io credo, che il nostro copro in un certo senso decide chi siamo. Per cui il pensiero è andato proprio ai corpi “reclusi”, quelli privati della libertà. Emerge sempre con più forza l’assurdità delle regole non scritte in carcere. Pensiamo proprio al corpo. Faccio l’esempio del caso di un detenuto che, al colloquio, non può dare direttamente lui il regalo al proprio figlio piccolo. Quel gesto non deve essere suo, ma deve essere fatto per mano dell’agente penitenziario. Una regola non scritta, ma senza alcun senso. Un sistema demenziale che crea inutile sofferenza. Sia al padre, che al figlio. Ma è solo uno dei tanti esempi che rendono l’idea di come vivono i corpi reclusi.