Non bastavano le divisioni per il ritorno al tavolo con Renzi, né la spaccatura profonda sulla figura di Draghi. Il vero dramma per il Movimento 5 Stelle si consuma fuori dal Palazzo, nel logoramento del cordone ombelicale che da sempre lega quel partito al Fatto quotidiano, il giornale di Marco Travaglio. Nati quasi in contemporanea nell’autunno del 2009, il partito e il giornale hanno intrecciato così tanto i loro destini fino a rendere a volte impossibile distinguere dove finisse l’uno e dove cominciasse l’altro. Più che l’Unità per il Pci, o Repubblica per il Pd, il Fatto è sempre stato lo spazio in cui militanti e dirigenti grillini trovavano senso politico alla loro esistenza, analizzavano il mondo attraverso le categorie secche del “buono” e “cattivo”, apprendevano slogan da spendere immediatamente in campagna elettorale. Non solo. Alleanze, strappi e svolte memorabili – racconta la vulgata pentastellata - sono sempre state concepite nella redazione di quel giornale. Travaglio è l’ideologo dell’onestà al potere come unico programma politico in cui identificarsi, il solo vero intellettuale di riferimento per una forza nata nelle piazze del Vday, la guida sicura.Almeno fino a poche ore fa, quando l’amarezza ha invaso il volto del direttore. Il bimbo che ha cullato per anni, il Movimento, ha cominciato a camminare sulle sue gambe e ha deciso di voltargli le spalle. Il sì a Draghi, pronunciato in coro da Di Maio, Conte e persino Grillo è una pugnalata al cuore. Ci sono molti modi per «suicidarsi», scrive il direttore sul suo editoriale , «il meno onorevole è consegnarsi volontariamente al carnefice pensando o raccontando che così lo si migliora e lo si controlla. Eppure è la strada che, secondo indiscrezioni, pare abbiano scelto Grillo e parte dei 5Stelle», spiega, specificando però di non avercela con Draghi, ma con «i compagni di strada che si ritroverebbero accanto i 5Stelle con l'insano gesto». Già, perché nella maggioranza Ursula entrerebbero solo partiti col «pelo sullo stomaco», ad eccezione dei grillini che, secondo Travaglio, «con tutti possono governare, fuorché col pregiudicato amico dei mafiosi e con l'irresponsabile che ha rovesciato Conte per espellerli dal consorzio civile, cancellare le loro riforme, sputare sulle loro bandiere, radere al suolo ogni loro traccia e spargervi il sale misto al veleno dei Calenda & Bonino». Sì, perché non c’è emergenza che tenga per giustificare l’abbraccio con Berlusconi, a cui il Fatto quotidiano nega persino il diritto al nome dal 2009. Su quel giornale il Cavaliere diventa semplicemente «B», o al massimo riesce a guadagnarsi qualche “scherzoso” epiteto da osteria, persino in prima pagina. «Governare con lo psiconano?» era il quesito d’apertura del Fatto di ieri, molto più vicino all’eleganza di Libero di quanto non si pensi. Insomma, per quanto Travaglio provi a minimizzare il suo stupore intervistato dal tg1, non sembra affatto che abbia preso bene l’ultima giravolta del M5S. Un dolore così forte da far perdere lucidità, tanto da pubblicare, sempre in prima pagina, una vignetta di Mannelli in cui la scelta di Mattarella viene associata a un «vago senso di golpe».Grillo, Conte e Di Maio per ora non sembrano curarsi dello strappo col direttore, ma nei prossimi due anni di convivenza con Draghi potrebbero pentirsene.