Non perde tempo Sergio Mattarella e al termine del giro di consultazioni convoca al Colle Roberto Fico. Dopo aver appreso dalle forze della vecchia maggioranza la disponibilità a riformare un governo su nuove basi, il Capo dello Stato spera di risolvere la crisi a stretto giro. Al presidente della Camera l’onere di verificare in Parlamento l’esistenza di una maggioranza solida con un mandato esplorativo. Toccherà a Fico parlare con tutti i leader e capire se davvero nulla osta alla pacificazione. Perché non è detto che all’interno dei singoli partiti la situazione potrebbe essere poco chiara. A cominciare dal Movimento 5 Stelle, che si presenta spaccato dopo l’apertura di Vito Crimi a Matteo Renzi.

Il leader di Italia viva aveva posto una condizione imprescindibile per risedersi al tavolo delle trattative («dicano se ci vogliono» ) e il capo reggente del grillismo decide di accontentarlo dichiarando la disponibilità del M5S a ricucire con i vecchi alleati per formare un «governo politico che parta dalle forze della maggioranza dell’ultimo anno e mezzo». Unico paletto pentastellato ancora in piedi: la permanenza dell’attuale premier a Palazzo Chigi.

Il Conte ter potrebbe dunque vedere la luce, sempre che i numeri al Senato corrispondano a quelli assicurati dalla precedente coalizione. Sì, perché i calcoli a tavolino rischiano sempre di giocare brutti scherzi. E i grillini adesso devono fare i conti con Alessandro Di Battista, pronto ad abbandonare il partito. Nelle ultime settimane l’ex deputato romano era infatti tornato a fare la sua parte nel M5S, ricucendo faticosamente con l’ex amico fraterno Luigi Di Maio, in nome di una crociata armata dalla crisi: «Mai più con Renzi». Dibba avrebbe accettato di buon grado persino l’abbraccio con qualsiasi “responsabile” forzista pur di liberarsi del leader di Iv. Non solo, in un governo senza l’ex premier ci avrebbe persino messo la faccia, accentando, se necessario, un incarico come ministro dell’Ambiente. E in nome di questo ritrovato spirito movimentista - che ha bisogno di un nemico per nutrirsi - il leader ortodosso non si è risparmiato un attimo dall’inizio della crisi, convinto che il patto di ferro siglato col ministro degli Esteri questa volta avrebbe retto. Così non è stato. Perché «può oggi il Paese accettare che sia il momento dei veti, dei personalismi, dell’arroccarsi sulle proprie posizioni? O piuttosto chiede che sia il momento della responsabilità e della condivisione? È il momento di fare un passo avanti, tutti insieme. E farlo velocemente», dice Crimi uscendo dal Quirinale.

Una doccia fredda per Dibba, che pochi minuti dopo la conferenza stampa del reggente pubblica su Facebook un post di fuoco. «Prendo atto che oggi la linea è cambiata» , scrive l’ex deputato. «Io non ho cambiato opinione. Tornare a sedersi con Renzi significa commettere un grande errore politico e direi storico. Significa rimettersi nelle mani di un ' accoltellatore' professionista che, sentendosi addirittura più potente di prima, aumenterà il numero di coltellate». Per Di Battista, dunque, il M5S ha optato per una liea suicida che cancellerà di fatto il programma pentastellato dall’agenda del governo. «L'ho sempre pensato e lo penso anche adesso. Se il Movimento dovesse tornare alla linea precedente io ci sono. Altrimenti arrivederci e grazie», conclude l’ex deputato mandando in allarme il quartier generale grillino. Poco più dopo confesserà ad alcuni fedelissimi di non avere alcuna intensione di arrivare a una scissione, ma di abbandonare semplicemente il Movimento.

L’anatema però è lanciato. Uno dopo l’altro gli anti renziani irriducibili escono allo scoperto con dichiarazioni al vetriolo. Molti deputati di fede “dibattistiana” non temono scomuniche. Renzi? «Una zavorra per il Paese», «un male», «irresponsabile», sono le defnizioni ricorrenti. Ma a dissociarsi dalla nuova linea ci sono anche alcuni senatori. E di peso. Come l’ex ministra del Sud Barbara Lezzi, che già nei giorni scorsi si era detta indisponibile a votare la fiducia a unesecutivo con Iv e ora chiede un immediato voto su Rousseau per legittimare il «repentino cambio di linea», come accaduto per «i due governi formati dal 2018 hanno visto centrale il voto dei nostri iscritti».

Lezzi però non è la sola a ribellarsi a Palazzo Madama. Il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra. «Se ci trasformiamo in dorotei ne prenderò atto e tornerò a casa», dice. «Se il cambiamento questa casa politica non lo vuole più fare ne prenderò atto e non escludo le dimissioni», annuncia. Resta solo da capire quanti irriducibili si annidino Senato e toccherà a Roberto Fico scoprirlo. Il mandato del presidente potrebbe non essere una passeggiata.