Finora la giustizia è stata una materia facile. Si fosse trattato di un esame universitario, lo studente bravo e opportunista l’avrebbe messa in cima al piano di studi: il 30 e lode era a portata di mano. Tradotto: non c’è da stupirsi che l’offensiva di Renzi contro gli ex alleati abbia al centro del mirino Bonafede. Bersaglio comodo. Perché l’intransigenza del guardasigilli sulla prescrizione, tanto per fare un esempio, mette in seria difficoltà il Pd. Solo che adesso c’è un problema: alla giustizia è sospeso mezzo Recovery. Se non si fanno le riforme del processo e non si trova un’intesa sui progetti, l’Europa poterebbe irrigidirsi. Se. E il “se” corrisponde a una marea d’incognite. Sul penale, che a inizio febbraio approderà all’ordalia degli emendamenti, il nodo prescrizione resta, e Italia viva lo renderà gordiano, grazie al lodo Annibali, pronto per essere scagliato in commissione Giustizia. Al Senato c’è una situazione numerica ancora peggiore per Bonafede, e per Conte: lì la commissione Giustizia è presieduta da un leghista, Andrea Ostellari, ha come vicepresidente un senatore di Italia viva, Giuseppe Cucca, e soprattutto ha numeri da Vietnam peggiori che a Montecitorio, dove si andrebbe 23 a 23, mentre a Palazzo Madama renziani e opposizioni mettono assieme 13 parlamentari, contro i 12 della maggioranza residua. Diciamolo: al Senato, la riforma penale così com’è ora, cioè con la prescrizione appena sfiorata dal “lodo Conte bis”, non passerà mai.

Di più. In Aula la settimana prossima ci sarà un passaggio delicatissimo, per Bonafede: si voterà la sua Relazione sullo Stato della giustizia. Prova «importante», la definisce una figura poco visibile ma essenziale nel Pd, il vicecapogruppo alla Camera Michele Bordo, avvocato penalista e vicino a Orlando. Bordo non lo dice troppo ad alta voce pure per non passare per menagramo, ma sa benissimo che se tra una settimana, nell’aula del Senato, col no renziano alla Relazione annuale, si abbattesse sul guardasigilli un siluro terra- aria, si spalancherebbero le porte dell’armageddon. Una specie di effetto a catena che paralizzerebbe non tanto il già esanime Conte tre, ma tutti i progetti sul sistema giustizia che vanno finanziati col Recovery e che servono a loro volta da precondizione affinché l’Ue eroghi i fondi anche per le altre voci di spesa annunciate dall’Italia.

Uno scenario apocalittico, che contribuisce a spiegare le esitazioni percepite in transatlantico fra i renziani. C’è da prendersi una responsabilità nuova, e pesante, sulla giustizia. Non più limitata, appunto, al consueto perimetro del ring fra 5 stelle giustizialisti, resto del mondo più o meno garantista e Pd in mezzo. Certo, ieri un’altra figura chiave e poco reclamizzata della politica giudiziaria, il sopracitato Cucca, è stato chiaro: «La relazione di Bonafede non l’abbiano ancora letta, ma sul Recovery della giustizia molte cose non ci piacciono, e la posizione di Italia viva resta quella annunciata da Renzi». Cioè voto contrario. Ma al di là dei pallottolieri, il dato certo è che sulla giustizia non c’è manco l’ombra di quel pur minimo accordo necessario a lavorare anche sui progetti per la modernizzazione dei tribunali.

A rendersene conto, non a caso, sono stati per primi gli avvocati italiani, che attraverso la loro massima istituzione, il Consiglio nazionale forense, hanno fatto una cosa semplice: hanno inviato al governo un documento di 111 pagine pieno di proposte per far respirare i tribunali — per esempio con l’affidamento di alcune controversie agli stessi difensori, sul modello collaudato in ambito familiaristico — e per avviare seriamente l’adeguamento delle strutture fisiche e immateriali — con un digitale che non riduca il processo ad automatismo robotico. Servirebbero le migliori energie del Paese, per realizzare una piattaforma simile. Ma il pantano politico allontana l’ipotesi in maniera irreparabile.

Una parte consistente delle proposte avanzate dall’avvocatura riguarda la giustizia civile. Ma come ha spiegato ieri in un’intervista al Dubbio il presidente leghista della commissione di Palazzo Madama, Ostellari, la maggioranza non ha avuto la forza di scegliere una direzione. E ora, con l’attrito fatale tra renziani e sopravvissuti, è chiaro che sarà peggio.

Ad accorgersi della catastrofe non è solo l’avvocatura, ma anche quel protagonista della giurisdizione che condivide col Foro le fatiche di un sistema logorato ed eroico, ossia i magistrati. Ieri l’Anm ha bombardato la riforma del Csm in audizione alla Camera ( come riferito in altro servizio del giornale, ndr), manco fosse la tana di Saddam per l’America di Bush. Però, poche ore prima dell’intervento a Montecitorio, il segretario del “sindacato” dei giudici Salvatore Casciaro ha rilasciato all’Adn- kronos una dichiarazione di assoluto buonsenso: «La questione della durata ragionevole dei processi, civili e penali», ha premesso, «richiede non solo la determinazione delle forze politiche ma anche un confronto serio con le categorie interessate, portatrici di sapere tecnico ed esperienza sulle problematiche degli uffici giudiziari». Ha quindi aggiunto: «Servono interventi strutturali e coordinati, l’approntamento delle adeguate risorse finanziarie, ma anche riforme processuali mirate nel rispetto dei principi costituzionali: limitarsi a un solo aspetto, e per giunta non far precedere la definizione delle strategie di intervento, nei tavoli di progettazione del Recovery, da un serio confronto con gli operatori sarebbe un errore che rischia di depotenziare l’impianto complessivo delle riforme, e di far perdere al Paese un’occasione storica di rilancio».

Ma, come dire: della prospettiva saggiamente invocata da Casciaro non c’è l’ombra. E anzi, c’è lo scenario inevitabilmente evocato da Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali: il Pd, ha detto ieri a propria volta, farebbe bene a essere coerente con le critiche avanzate sulla riforma del processo penale, e con l’impegno a rivedere il blocca- prescrizione qualora il ddl penale si fosse mostrato incapace di disinnescare il devastante di quella norma. Ecco, è più o meno lo schema incombente: Renzi metterà i dem all’angolo, secondo la logica giustamente ricordata da Caiazza. Quindi la paralisi sulla giustizia è certa. Quello che comincia a essere un po’ meno certo è l’arrivo di quei famosi 209 miliardi dai quali dovrebbe passare il futuro del Paese.