Paolo Borsellino non fu ucciso per la presunta trattativa Stato-mafia, per la quale tra l’altro ancora c’è un processo in corso per confermarla o meno, ma dalla mafia «per vendetta e cautela preventiva». La vendetta è relativa all’esito del maxiprocesso, mentre la “cautela preventiva” è relativa alle sue indagini, in particolare quelle su mafia appalti. Quest’ultima ipotesi – scrive la Corte d’asssise di appello di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza di secondo grado del "Borsellino Quater" - «doveva, peraltro, essere anche collegata alla circostanza riferita dal collaboratore Antonino Giuffrè sui “sondaggi” con “personaggi importanti” effettuati da Cosa Nostra prima di decidere sull’eliminazione dei giudici Falcone e Borsellino oltre che sui sospetti per i quali lo stesso Borsellino, il giorno prima dell’attentato, aveva confidato alla moglie “che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo , ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò accadesse”». Sempre nella sentenza viene citato il fatto che l’arrivo di Borsellino nel nuovo ufficio della Procura di Palermo «era stato percepito con preoccupazione da Cosa Nostra, al punto che Pino Lipari (vicino ai vertici dell’organizzazione mafiosa) aveva commentato il fatto dicendo che avrebbe creato delle difficoltà a “quel santo cristiano di Giammanco”». Ebbene, aggiunge la Corte, «sulla base di tali evidenziate “anomalie”, i primi giudici disponevano la trasmissione degli atti al Pubblico ministro per le determinazioni di competenza su eventuali condotte delittuose emerse nel corso dell’istruttoria dibattimentale». Mafia-appalti concausa della strage di Via D'Amelio La Corte d’asssise di appello di Caltanissetta si sofferma molto sull’indagine mafia-appalti come concausa della strage di Via D’Amelio. Lo rimarca osservando che Borsellino aveva mostrato particolare attenzione alle «inchieste riguardanti il coinvolgimento di “Cosa Nostra” nel settore degli appalti pubblici, avendo intuito l’interesse strategico che tale settore rivestiva per l’organizzazione criminale». Viene riportato ciò che il collaboratore Giuffrè aveva riferito, in sede di incidente probatorio, all’udienza del 5 giugno 2012. Ovvero che le ragioni dell’anticipata uccisione del giudice Borsellino erano «anche da ricondurre al timore di Cosa Nostra che quest’ultimo potesse divenire il nuovo capo della Direzione Nazionale Antimafia nonché al timore delle indagini che il medesimo magistrato avrebbe potuto compiere in materia di mafia-appalti, con specifico riferimento al rapporto presentato dal Ros dei Carabinieri alla Procura di Palermo, su input del giudice Giovanni Falcone, nel quale erano stati evidenziati appunto i rapporti fra mafia e appalti, con particolare riferimento alle interferenze di Cosa Nostra sul sistema di aggiudicazione degli appalti, secondo un rapporto triangolare fondato sulla condivisione di illecite cointeressenze economiche che coinvolgeva, mettendoli ad un medesimo tavolo, il mondo imprenditoriale, politico e quello mafioso». Confermata la sentenza di primo grado La sentenza, emessa nel novembre 2019, ha confermando quella di primo grado ed accogliendo le richieste della Procura generale, ha condannato all'ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i 5 uomini della scorta. Condannati a 10 anni i "falsi pentiti" Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. Così come aveva fatto la Corte d'assise presieduta da Antonio Balsamo anche in appello i giudici hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato a Vincenzo Scarantino.