George Orwell scrisse che «la vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire». Iera sera, il programma Report condotto da Sigfrido Ranucci l’ha messo in pratica grazie all’inchiesta firmata da Bernardo Iovene, giornalista storico della trasmissione di Rai3. L’argomento è scomodo, impopolare, divisivo e per questo la redazione di Report è stata coraggiosa: ha trattato il tema delle carceri italiane al tempo del Covid 19. Non da un punto di vista dietrologico, ma attraverso, fatti, dati e testimonianze raccolte girando tra le carceri italiane. Ed è Iovene ad introdurre il sevizio con la sua voce fuori campo, focalizzando subito il problema, ovvero sottolineando il fatto che «la polizia penitenziaria nell’ultimo anno è stata messa a dura prova. Durante le rivolte nel periodo del primo lockdown, le proteste hanno riguardato 21 carceri, ci sono stati 107 feriti tra gli agenti e 69 tra i detenuti, ci sono state anche 13 persone detenute morte, e danni ingenti alle strutture carcerarie per quasi 10 milioni di euro, e ci sarebbero stati purtroppo anche abusi: atti di violenza gratuita sui detenuti». La circolare del Dap e la detenzione domiciliare per Covid Tutti gli altri programmi televisivi, come per esempio Non è l’Arena di Massimo Giletti, sono rimasti indifferenti al dramma che la popolazione detenuta stava (e sta tuttora) vivendo con le sue, ancora poco chiare, 13 morti e presunte torture. Il tutto si stava concentrando con l’inasprimento della repressione, l’irrigidimento da parte della magistratura di sorveglianza nel concedere i benefici e il ritiro della famosa circolare del Dap. Ed è su quest’ultimo punto che il conduttore di Report, Ranucci, spiega quello che altri programmi televisivi non hanno avuto il coraggio di dire. Dopo aver ricordato che la circolare invitava i direttori dei penitenziari ad applicare una norma già esistente: «segnalate ai magistrati di sorveglianza quei detenuti già malati o affetti da patologie gravi, che avrebbero potuto rischiare la vita se contagiati in carcere. E valutate di mandarli agli arresti domiciliari», ha evocato anche l’indignazione scaturita sulla detenzione domiciliare delle 376 persone di cui 3 boss mafiosi. Ma poi ha aggiunto: «La circolare è stata sospesa il 17 giugno. Questa circolare sembrava minare l’istituto del 41 bis, in realtà lo avrebbe protetto. Lo Stato il pugno di ferro lo deve esercitare con i duri. Già il 41 bis è ai limiti della violazione dei diritti umani, si regge solo in nome della tutela della sicurezza della collettività. Ma se uno è morente, anche se boss, cosa tuteli? Finisci con alimentare la voce di chi vorrebbe abolirlo». Finalmente una inchiesta televisiva dove si pone seriamente la questione del 41 bis che è al limite della nostra Costituzione. Se finora ha retto lo si deve a quei pochi magistrati di sorveglianza e alle sentenze della Cassazione che hanno ripristinato i diritti più elementari, togliendo quelle misure afflittive in più che lo stesso Falcone non aveva assolutamente contemplato. Ma il carcere duro, ricordiamolo, è a rischio se dovessero arrivare condanne più dure da parte della Corte Europea. Il paradosso è proprio questo: chi vuole misure afflittive in più, contribuisce al rischio della sua abolizione. Il boss morto per Covid nel carcere di Opera Il giornalista di Report Iovene ha anche approfondito la vicenda del boss al 41 bis del carcere di Opera morto per Covid 19. Ha ricordato che il nostro ordinamento prevede che, ove siano necessarie cure o accertamenti che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti penitenziari, i condannati andrebbero curati fuori dal carcere. Ed è quello che ha chiesto l’avvocato Paolo Di Fresco per il suo assistito al 41 bis. Ma niente da fare. Istanze per la detenzione ospedaliera puntualmente rigettate, nonostante che il boss avesse contratto polmoniti interstiziali, fosse stato operato di tumore, con un intervento di aneurisma all’aorta e un’ischemia cardiaca. «Un quadro desolante - ha denunciato l’avvocato Di Fresco a Report - , quindi c’erano tutti i presupposti affinché fosse mandato a casa proprio per preservarlo dal rischio di contagio. Mi è stato risposto che il virus nel carcere di Opera non può entrare e che anzi l’isolamento avrebbe consentito di tutelarlo maggiormente. Dopo una settimana dalla decisione del tribunale di sorveglianza di Milano mi è stato comunicato che aveva contratto il virus». Viene quindi trasferito in ospedale in gravi condizioni. Subito dopo l’intervista – che risale al 2 dicembre -, l’avvocato contatta telefonicamente Iovene per annunciargli che il suo assistito è morto. Le rivolte e i presunti pestaggi Ma tanti sono i temi scomodi che Report ha affrontato. Il focus principale è sui presunti pestaggi avvenuti in diverse carceri, a partire da quello di Santa Maria Capua Vetere. L’intervista è al garante regionale Samuele Ciambriello e a quello locale Pietro Ioia. Ma Bernardo Iovene pone domande anche Antonio Fullone, il provveditore della Campania che ha inviato la squadra di agenti penitenziari per fare la perquisizione al carcere dove sarebbe poi avvenuto il brutale pestaggio. «Quello che colpisce è il pestaggio a freddo che viene denunciato», gli dice Iovene. «Se dovesse essere così è grave», risponde Fullone. Tanti sono i presunti pestaggi e torture che Report rende pubblici per la prima volta in tv. Ma soprattutto affronta l’inquietante vicenda dei morti di Modena. Intervista per la prima volta un ex detenuto che avrebbe assistito ai fatti. Morti per overdose è la versione ufficiale, ma tante cose non tornano. A partire dal fatto che alcuni di loro, nonostante stessero male per aver ingerito grosse quantità di metadone e psicofarmaci, sarebbero stati picchiati. Non c’è alcuna prova che dietro le rivolte ci sia una regia occulta. Questo lo dice, con onestà intellettuale, anche Sigfrido Ranucci. Il dramma del sovraffollamento Quello che però ha potuto constatare Report sono le pessime condizioni in cui versano le carceri italiane. «Gli animi li esasperano - ha detto il conduttore di Report introducendo il servizio su Poggioreale -, e non sono certo quelle le condizioni ideali per favorire la rieducazione o la redenzione di chi ha sbagliato nella vita. Se è vero che l’80% di chi va in carcere poi ci ritorna, è inevitabile che al tempo del virus la situazione esplodesse».Ed è proprio il sovraffollamento il primo problema che attanaglia le nostre carceri. Sommando anche l’emergenza Covid 19, la miscela è esplosiva. Le interviste al Garante e a Rita Bernardini Per questo Report ha intervistato sia il il garante nazionale Mauro Palma, che ha il polso di tutta la situazione, sia Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino. L’intervista risale a quando l’esponente radicale era in sciopero della fame per chiedere misure deflattive più efficaci. Ma ad oggi nulla è cambiato come denuncia a Report anche Roberto Giachetti di Italia Viva, uno dei pochi parlamentari che si è battuto, purtroppo invano, per far introdurre almeno la liberazione anticipata speciale. Ieri la Rai ha trasmesso un servizio di inchiesta di alto livello giornalistico. Ha dato la possibilità, a un pubblico decisamente più vasto, di far conoscere un mondo nascosto e quasi impenetrabile. Non conoscendolo aumentano i luoghi comuni e c’è chi li cavalca assecondando i peggiori istinti. Ringraziamo Bernardo Iovene per aver parlato anche de Il Dubbio e in particolare di questa pagina che dedichiamo quotidianamente al carcere. Per la prima volta, in tv, abbiamo visto molti volti “amici”. Quelli che ogni giorno si battono per i diritti umani all’interno di quelle quattro mura. Tra i volti amici, anche quelli dei sindacati della polizia penitenziaria, perché anche loro hanno il diritto di essere ascoltati. Una bella inchiesta che, speriamo, abbia scosso anche le coscienze più retrive. Ci auguriamo che non finisca qui, perché c’è ancora tanto da dire.