Rien ne va plus: la pallina gira, fermarla non è più possibile, da dove si arresterà martedì al Senato dipende qualcosa in più della sorte del governo Conte. Al contrario, poche sfide sulla fiducia a un governo, nella storia della Repubblica, sono state cariche di conseguenze potenziali come questa. In ballo ci sono la gestione della pandemia e quella del Recovery Fund, una sciocchezza che modellerà il futuro d'Italia per un paio di decenni. Ma anche, in modo più sottile, il rapporto tra l'Esecutivo e il Legislativo, tra governo e Parlamento, e quello sugli equilibri futuri tra un governo e la maggioranza che lo esprime e sostiene. Senza dimenticare l'assetto della politica italiana nelle prossime e comunque non lontanissime elezioni politiche: la disposzione della scacchiera.

Di ipotesi in fondo non ce ne sono che tre. La prima è che Conte strappi una fiducia piena: 161 voti al Senato. Risicata, striminzita, stiracchiata quanto si vuole ma il risultato non cambierebbe. Il percorso, a quel punto, almeno nei progetti del premier assecondati dal Quirinale è già tracciato. Conte sostituirebbe le ministre dimissionarie di Iv e andrebbe avanti come se nulla fosse. Senza rivedere la squadra. Senza rimpasti né rimpastini. Senza ripensare il rapporto tra governo e maggioranza che lui stesso ha impostato: completamente sbilanciato a favore del primo. Con una centralità di palazzo Chigi che uscirebbe esaltata dalla prova e non ridimensionata come si auguravano sia il Pd che Di Maio all'inizio di questa vicenda, quando spalleggiavano tacitamente Renzi proprio con l'obiettivo di ' dare una sbassata' al premier pur senza sostituirlo.

Poche cose sono tanto distanti dalla realtà quanto interpretare questa crisi come una specie di fatto personale. In parte lo è, come spesso capita nella politica reale, e in parte maggiore c'è davvero una rappresentanza di interessi precisi a motivare l'offensiva di Renzi. Ma la crisi si è determinata nella maggioranza e intorno ai rapporti di quest'ultima con un esecutivo che ha fatto il possibile per tagliarla fuori dai processi decisionali. La vittoria piena di Conte in aula per Renzi sarebbe una disfatta ma per Zingaretti una sconfitta secca. La gestione del Recovery passerebbe quasi seduta stante nelle mani di palazzo Chigi, come nel progetto di governance iniziale, e con poche mediazioni. L'indicazione di Conte a candidato premier della coalizione Pd- M5S- LeU alle prossime Politiche sarebbe inevitabile e neppure questa sarebbe una vittoria di Zingaretti. Sarebbe in realtà un prezzo molto esoso da pagare per la trasformazione dell'alleanza posticcia dell'estate 2019 in vera alleanza politica.

L'ipotesi al momento più probabile è anche la più caotica. Conte potrebbe, grazie all'astensione dei renziani, conquistare una maggioranza relativa senza toccare quella assoluta. Costituzionalmente sarebbe legittimato a governare senza alcun limite. Il suo sarebbe però un governo di minoranza, tenuto sotto mira continuamente da Iv e la formula certo non sarebbe gradita al Colle. Il bunker non sarebbe ancora espugnato ma circondato sì e in queste condizioni è difficile che un governo resista a lungo. Di fatto la crisi non sarebbe chiusa, si trascinerebbe sotto traccia per un tempo indefinito e si tratterebbe probabilmete della non- soluzione peggiore per tutti.

Ma la palla in questo caso sarebbe solo nelle mani di Mattarella. Starebbe a lui decidere se accontentarsi di una formula fragilissima e provvisoria almeno per un po' o reclamare la crisi subito. Senza la certezza di numeri pieni Conte potrebbe a sua volta decidere di anticipare il voto dimettendosi subito dopo le comunicazioni nell'aula del Senato. Sembrerebbe la mossa più istituzionalmente lineare, gli darebbe il tempo di provare a rimpinguare la pattuglia dei costruttori ma implicherebbe anche l'apertura formale di una crisi nella quale molto cospirerebbe per fare proprio di lui la vittima sacrificale. Per muoversi in quella direzione l'inquilino di palazzo Chigi dovrebbe avere totale fiducia nell'appoggio incondizionato sia dei 5S che del Pd e non è facile che creda agli impegni del Nazareno fino a questo punto.

Nelle condizioni date, con i 5S e il Pd che negano ogni possibilità di ricucire in tempi brevi i rapporti con Renzi, la terza ipotesi, cioè la sconfitta piena di Conte in aula, senza maggioranza né assoluta né relativa, dovrebbe implicare automaticamente le elezioni anticipate. Non è così. Con la pandemia e la vaccinazione di massa di mezzo votare prima di giugno è secondo i tecnici del Colle escluso. Ma certo non si potrebbe arrivare all'estate con un governo dimissionario. Quindi, se l'asse Pd- M5S- LeU non riuscisse a trovare una formula sostenuta da 161 senatori bisgnerebbe passare a un governo- ponte tecnico, o del Presidente o comunque lo si voglia chiamare. Forse arriverebbe davvero solo sino a giugno. Molto più probabilmente, complici il Covid- 19 e la crisi economica, andrebbe invece ben oltre.