L’anno nuovo della Corte Costituzionale si apre con una sentenza a favore delle vittime di violenza di genere che potranno accedere automaticamente al patrocinio a spese dello Stato indipendentemente dal proprio livello di reddito.

Si tratta di una «scelta di indirizzo politico- criminale che ha l’obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità», spiegano i giudici delle leggi in riferimento alla norma in esame.

Nella parte in cui - all’articolo 76, comma 4- ter del dpr 115 2020 recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia» - questa dispone l’ammissione automatica al beneficio a prescindere da situazioni di «non abbienza», secondo l’interpretazione della Corte di Cassazione assurta a “diritto vivente”.

Il dpr citato dai giudici costituzionali, infatti, stabilisce le condizioni di accesso al patrocinio in base all’ultima dichiarazione dei redditi, ma prevede una deroga per le vittime di particolari reati: violenza sessuale, stalking, maltrattamenti in famiglia e prostituzione minorile, per citarne alcuni.

«Crimini odiosi», sottolinea la Consulta che con la prima sentenza depositata nel 2021 – relatore il neo presidente Giancarlo Coraggio – dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Tivoli. Il caso di specie risale al 2019. Con ordinanza interlocutoria notificata al difensore, il Gip di Tivoli «sospendeva l’esame della domanda di ammissione al beneficio, invitando ad integrarla con l’indicazione delle condizioni reddituali e patrimoniali dell’istante». Ma, osservava a sua volta il legale, «nella particolare fattispecie della vittima del reato di violenza sessuale» le richieste del giudice «non appaiono motivate», rientrando il reato, di cui all’articolo 609- bis del codice penale, «tra quelli per i quali il patrocinio a spese dello Stato è sempre concesso alla parte offesa prescindendo dalle condizioni reddituali» . «La scelta effettuata con la disposizione in esame - si legge nella sentenza della Consulta rientra nella piena discrezionalità del legislatore e non appare nè irragionevole nè lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma medesima oltre che le esigenze di garantire al massimo il venire alla luce di tali reati». La pronuncia dei giudici è in continuità con la linea espressa dalla Suprema Corte, la quale con sentenza del 20 marzo 2017 aveva «affermato il diritto della persona offesa da uno dei reati indicati nella norma a fruire del patrocinio a spese dello Stato per il solo fatto di rivestire tale qualifica».

Tale lettura sarebbe imposta dalla ratio della norma, spiegano da Palazzo della Consulta, «posto che la finalità della norma in questione appare essere quella di assicurare alle vittime di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale».

«L’eccezione introdotta dal legislatore non solo non sarebbe irragionevole - si legge nella sentenza - ma avrebbe una precisa motivazione, valutabile positivamente, e cioè quella di tutela di soggetti vulnerabili, prima o in dipendenza del crimine, che potrebbero, per tale stato, avere delle remore a denunciare e a difendersi nei procedimenti penali nei confronti dei loro aggressori». «Alla tutela di persone deboli si aggiungerebbe in senso più ampio, una finalità di prevenzione di crimini odiosi, dato che vengono in rilievo reati abituali o facilmente ripetibili in ragione dell’attitudine di alcuni soggetti a ricreare in futuro situazioni analoghe», proseguono i giudici.

La Corte rileva quindi che «nel nostro ordinamento giuridico, specialmente negli ultimi anni, è stato dato grande spazio a provvedimenti e misure tesi a garantire una risposta più efficace verso i reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme sociale, anche alla luce della maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne e i minori». «Di qui - aggiungono i giudici - la volontà di approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente rilevanti». Un segnale di particolare rilievo nel contrasto alla violenza di genere accolto positivamente dalla senatrice del Pd e presidente della Commissione Femminicidio, Valeria Valente.

La pronuncia della Corte è «molto importante», commenta la senatrice. «Si tratta di un sostegno concreto, non solo materiale ma anche psicologico, per chi denuncia - prosegue Valente. Passa il messaggio che lo Stato è dalla parte di queste bambine, ragazze e donne abusate in vario modo». «Anche le motivazioni della sentenza chiariscono - conclude - che la ratio della legge, finalizzata appunto a incoraggiare la vittima che si trova in particolare stato di vulnerabilità, a intraprendere un percorso di denuncia e di uscita dalla violenza, è del tutto ragionevole e non può essere sottoposta a discrezionalità. È stato compiuto un ulteriore passo in avanti perchè le donne non si sentano sole e siano incentivate a denunciare».