Tre miliardi e dieci milioni di euro. A tanto ammonta l’intervento sull’innovazione organizzativa della Giustizia contenuto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza approdato ieri sera in Consiglio dei ministri. Intervento costituito per 1 miliardo e 10 milioni da risorse complementari provenienti dagli stanziamenti della Legge di Bilancio. Lo scopo del governo è quello di ridurre notevolmente i tempi della giustizia, puntando su un tema caro agli avvocati: la ragionevole durata del processo. Un passaggio non da poco se associato all’eliminazione, dal Piano, di uno dei passaggi più pruriginosi delle precedenti versioni: il giudizio implicito sulla tendenza degli avvocati a preferire la prescrizione ai riti alternativi. Nella bozza del 6 dicembre, infatti, il governo rivendicava la cancellazione della prescrizione come un primo, importante, passo verso l’adeguamento agli standard europei, criticando tra le righe la “preferenza” degli avvocati per la prescrizione. Parola che, ora, scompare quasi totalmente dal documento, se non per un passaggio finale, laddove si sottolinea la volontà di snellire il processo, e quindi evitare che si consumino prescrizioni, «senza conculcare i fondamentali diritti di azione e di difesa». Una prova, forse, del tentativo di mediare le spinte giustizialiste del M5s con le richieste di garantismo avanzate da Italia Viva nella strategia renziana di destabilizzare la poltrona di Giuseppe Conte. Il piano punta su digitalizzazione, utilizzo delle tecnologie e su un nuovo modello organizzativo. A partire dall’ufficio per il processo, «modello di collaborazione» che porta al fianco dei giudici personale tecnico di supporto. Gli addetti all’ufficio del processo aiuteranno i magistrati nello studio della controversia e della giurisprudenza pertinente, predisponendo le bozze di provvedimenti e collaborando alla raccolta della prova dichiarativa nel processo civile. Mentre per lo smaltimento del contenzioso tributario pendente davanti alla Corte di Cassazione ( 52.540 procedimenti, nel 2019, contro i 51.583 di tutte le altre sezioni civili messe insieme, esclusa la materia dell’immigrazione), il piano prevede l’assegnazione, in via straordinaria, di magistrati onorari ausiliari.

PROCESSO CIVILE

Le parole d’ordine per il civile sono riduzione dei riti e semplificazione. Il piano prevede dunque il passaggio ad un unico rito, la riduzione delle competenze al tribunale collegiale, la revisione del giudizio di appello, il cui atto introduttivo sarà il ricorso e prima udienza non oltre i 90 giorni, l’anticipazione dei termini per il deposito delle memorie di precisazione o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni, l’eliminazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, l’esclusione del ricorso obbligatorio alla mediazione in materia di responsabilità sanitaria, contratti finanziari, bancari e assicurativi. Per quanto riguarda la negoziazione assistita, gli avvocati potranno anticipare, dove possibile, una parte dell’attività istruttoria, per agevolare l'accertamento dei fatti prima dell'inizio del processo. Ma la riforma punta anche a favorire conciliazioni giudiziali o transazioni extragiudiziali attraverso misure di incentivazione fiscale. Infine, «sono in fase di elaborazione alcune misure in materia di spese di giustizia», con meccanismi premiali quando le parti «concorrano a snellire la fase decisoria in Cassazione» e un’accelerazione, attraverso la digitalizzazione, del procedimento di liquidazione. Sparita dalla bozza la previsione del riconoscimento dell’amministrazione della giustizia quale soggetto danneggiato nei casi di responsabilità aggravata per lite temeraria.

PROCESSO PENALE

Anche per il penale si punta alla digitalizzazione, con il deposito telematico degli atti e notifiche via pec. Ma la vera sfida del governo è ridurre «drasticamente» i casi in cui si arriva a dibattimento, con un’attenzione particolare per il giudizio d’appello, «vero e proprio collo di bottiglia del processo penale». La riforma prevede una rimodulazione della durata delle indagini preliminari in base alla gravità dei reati, con l’obbligo, per il pm, di depositare gli atti una volta decorsi i termini massimi.

Il magistrato dovrà presentare richiesta di archiviazione o esercitare l’azione penale entro 30 giorni dalla presentazione della relativa richiesta da parte del difensore dell’indagato o della persona offesa. Il parametro della inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa viene sostituito con quello dell’inidoneità degli stessi a consentire una ragionevole previsione di accoglimento della tesi accusatoria nel giudizio. Si punta ad una incentivazione dei riti alternativi, tranne che per reati molto gravi e per accelerare il dibattimento davanti al giudice monocratico è prevista, nei soli casi di citazione diretta a giudizio, un’udienza “filtro” per stabilire se arrivare o meno a dibattimento. Il difensore potrà appellare la sentenza di primo grado solo se munito di uno specifico mandato ad impugnare. Viene introdotto il giudice monocratico d’appello e, infine, termini di durata massima delle diverse fasi e dei diversi gradi del processo penale, la cui violazione, se imputabile a negligenza inescusabile, «potrà costituire causa di responsabilità disciplinare».

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO

Il dirigente dell’ufficio dovrà organizzare il lavoro in modo da garantire funzionalità ed efficienza, nonché equità tra tutti i magistrati. E dovrà inoltre monitorare i ritardi ed eliminarli, attraverso piani mirati di smaltimento da verificare ogni tre mesi e l’introduzione di specifici illeciti disciplinari. La riforma prevede anche una riduzione dei tempi di accesso alla carriera di magistrato, meno magistrati sottratti all'esercizio ordinario della giurisdizione, l’estensione anche alle funzioni apicali dell’obbligo di permanenza negli uffici per almeno quattro anni, termine da garantire per poter accedere al concorso per tali posti, nonché una semplificazione dell’attività dei Consigli giudiziari. Prevista, infine, una riforma del meccanismo di elezione dei componenti del Csm e restrizioni alle condizioni che consentono la candidatura dei magistrati per incarichi elettivi.