Il professore Giorgio Palù, virologo di fama internazionale, e neo eletto presidente dell'Aifa, in questa intervista ci rassicura sulle mutazioni del coronavirus, più contagiose forse ma non più letali. Sulla riapertura delle scuole aggiunge: tenere aperte solo le elementari.

Professore si parla molto della variante inglese del virus. Può aiutarci a capire meglio?

La variante inglese circola già da settembre, adesso è diventata prevalente e sembra avere una contagiosità superiore. È stata sequenziata dal consorzio ARTIC costituito da virologi inglesi appartenenti al Sanger Institute, all’MRC di Glasgow, alle Università di Edimburgo, Birmingham, Cambridge, Oxford, Cardiff. A carico dei 1.285 amminoacidi, che sono i singoli elementi che costituiscono la proteina S dell’involucro del coronavirus, esistono 17 mutazioni, ma solo un paio, gli amminoacidi 501 e 681, presentano sostituzioni significative per la funzione della proteina nel processo di infettività virale.

Gli inglesi sequenziano genomi virali più di noi?

Sì, loro al momento hanno depositato oltre 60.000 sequenze, l'Italia 900.

Come mai?

Hanno un sistema più efficiente e sono più organizzati. E poi, me lo lasci dire, forse i virologi inglesi hanno compreso che un virus si combatte efficacemente solo in laboratorio, studiandolo in ogni dettaglio.

Perché è importante capire quali dei mattoncini che compongono la proteina mutano?

In questo caso le mutazioni si collocano all’interno delle porzioni proteiche che servono alla proteina virale Spike ( S) per interagire con il ricettore ACE2 e con la membrana della cellula che subisce l’infezione. In sintesi, queste mutazioni sono legate al meccanismo di infettività in quanto accrescono la capacità del virus di entrare nelle nostre cellule. Sono quindi mutazioni importanti dal punto di vista epidemiologico che caratterizzano la nuova variante di SARS- CoV- 2 per un grado elevato di contagiosità. Detta variante è infatti rapidamente diventata prevalente nel Regno Unito ed è presente anche in altre nazioni. Un’altra mutazione che caratterizza questa nuova variante è la delezione dei due amminoacidi 69 e 70 di S, già legata alla capacità del virus di eludere l’attività neutralizzante di alcuni anticorpi monoclonali.

Con l'aumentare delle mutazioni, potremmo arrivare ad una variante che non risponde al vaccino?

In linea teorica è possibile ma dati preliminari sui vaccinati sono confortanti in quanto suggeriscono che i nuovi vaccini inducono risposte anticorpali in grado di neutralizzare tutte le varianti virali sinora insorte.

È certo che la variante inglese infetti di più?

A parte le evidenze epidemiologiche che depongono per un’aumentata contagiosità, non c'è nessuno studio virologico che abbia caratterizzato dal punto di vista funzionale le mutazioni tipiche della variante inglese. Nessuno di questi mutanti è stato studiato isolatamente, tranne la mutazione D614G già nota e presente anche nella variante inglese di cui si è scritto su “Cell” e “Nature”. Il dato che ci dovrebbe rassicurare è che al momento non c'è alcuna certezza che le mutazioni siano legate ad una maggiore morbosità e letalità virus- collegate.

Come si generano le mutazioni?

Più il virus replica e si diffonde, più muta. Questo è un virus che, tra quelli a RNA, muta meno di tutti: una mutazione per genoma al mese, circa dieci volte meno del virus dell'influenza o dell'HIV.

Quali sono le condizioni che facilitano le mutazioni?

Sono i soggetti immunodepressi, quelli che hanno infezioni che durano a lungo, anche 30- 40 giorni, condizione che favorisce un’elevata replicazione virale. Il virus, invece, muta a tassi inferiori quando l'ospite, solitamente un giovane immunocompetente, reagisce efficacemente inibendo in pochi giorni la replicazione di SARS- CoV- 2. Va ricordato che questo virus ha una letalità relativamente bassa: negli studi di sieroprevalenza non si va oltre lo 0,50%. Come altri agenti virali caratterizzati da questo livello di letalità non ha interesse ad uccidere l'ospite. Mutando e diventando più contagioso evolutivamente cerca di sopravvivere più a lungo.

Quindi dobbiamo affrettarci a vaccinare la popolazione?

Certo. E inoltre, come fanno gli inglesi, dobbiamo monitorare non solo la risposta immunitaria ma anche l'evoluzione genetica del virus. La buona notizia è che i vaccini Pfizer e Moderna, i primi ad essere distribuiti, sono basati sull'RNA messaggero, una tecnologia che ci ha permesso di avere un primo allestimento vaccinale dopo dieci giorni dalla pubblicazione della sequenza del genoma virale. Quindi, al massimo in due settimane, potremmo avere un nuovo vaccino valido anche contro nuovi mutanti virali che eventualmente sfuggissero al controllo dei vaccini appena introdotti.

Ma non sappiamo con certezza per quanto tempo rimarremo immunizzati.

I soggetti vaccinati negli studi validativi sono stati osservati per oltre due mesi dalla seconda dose. Considerando il titolo degli anticorpi, si stima che l'immunizzazione possa durare per circa nove mesi. Tutti gli attuali vaccini sono licenziati per uso emergenziale, quindi le autorità regolatorie europee e nazionali devono effettuare una continua e attenta valutazione rischi/ benefici, ivi inclusa la durata dell’immunità e la sua efficacia nei confronti di virus diversi.

Quindi dopo nove mesi ogni vaccinato dovrà fare un test?

Una pandemia virale non è mai durata più di due anni. È auspicabile che dopo la prossima stagione invernale, quella in cui si riscontra la massima diffusione dei virus respiratori, noi potremmo vedere una diminuzione naturale dell'infezione.

Qual è il suo pensiero sull'obbligatorietà del vaccino?

Questo è un argomento più da giuristi che da virologi. Ricordo però che per legge è stato introdotto l'obbligo per le vaccinazioni pediatriche. Non si può correre il rischio che un’infezione che ha notevole impatto sanitario e sociale si diffonda. Ricordiamo che con l'introduzione dei vaccini dal ' 900 la vita media è aumentata di 25 anni, la mortalità infantile è scesa allo 0.1%. Per quanto riguarda il Covid- 19, il decisore pubblico potrebbe ad esempio decidere di imporre a medici ed infermieri la vaccinazione, pena l'impossibilità di esercitare la professione perché si mette in pericolo la salute pubblica.

Lei ha cofirmato con Giovanni Sebastiani un lavoro in merito ai criteri da adottare per la scelta dei destinatari dei vaccini.

A tal proposito, in linea con il nostro lavoro, è molto interessante un position paper congiunto della Commissione permanente per la vaccinazione ( STIKO), il Comitato di Bioetica tedesco e l'Accademia delle Scienze Leopoldina. L’indicazione scientifica coincide con quella bioetica guidata dai principi di beneficenza, di giustizia sociale e di responsabilità: vanno vaccinati per primi i più anziani e gracili ( RSA) ed i soggetti più esposti al rischio di infettarsi e di diffondere il contagio ( operatori sanitari).

Sempre insieme a Sebastiani ha firmato un lavoro riguardante le conseguenze dell'apertura delle scuole sulla pandemia.

Da questo lavoro si capisce come la curva di incidenza di Covid- 19 sia aumentata in maniera esponenziale quattordici giorni dopo la riapertura delle scuole, avvenuta tra il 14 e il 24 del mese di settembre, apertura che ha coinvolto 8 milioni tra studenti, insegnanti e addetti con l'utilizzo dei mezzi pubblici a capacità del 90%. Invece le attività lavorative erano riprese prima e con la stessa percentuale di smartworking. I nostri dati confermano alcuni studi americani in cui si è notata una significativa associazione tra la diminuzione dell'incidenza di Covid- 19 e la chiusura scolastica di tutti i gradi in tutti gli Stati. Quello che mi sentirei di raccomandare è di tenere aperte solo le scuole elementari, perché i bambini si infettano e trasmettono meno il virus, mentre gli adolescenti possono essere dei super diffusori.