L’arrivo in Italia delle prime dosi di vaccino contro il virus Covid 19 va accolto con un convinto benvenuto. Ciò posto, vi sono questioni serie che stanno a monte e a valle del rifornimento. Cominciamo da quelle a valle. Si accende infatti il dibattito sulla sua somministrazione. Il nodo riguarda quanti decideranno di non vaccinarsi e le eventuali conseguenze cui potrebbero andare incontro. Si sente infatti parlare, sempre più insistentemente, di trattamenti sanitari obbligatori o, comunque, di forme di “penalizzazione” indiretta per gli inadempienti: dalle ipotesi di “patentini sanitari” per prendere un treno o mangiare al ristorante, di elenchi più o meno pubblici di chi non si è voluto vaccinare, con evidenti impatti sulla privacy, fino alle prospettive di licenziamento dal lavoro.

Il tema della obbligatorietà dei vaccini è, da sempre, difficile e divisivo e impone alcune riflessioni generali il cui perimetro di riferimento non può che essere la dimensione costituzionale. Procediamo per punti.

1) Il “diritto alla salute”, espressamente sancito all’art. 32 della Costituzione, ha duplice natura. Da un lato, invera una delle imprescindibili manifestazioni della libertà e della dignità della persona ( art. 2 della Costituzione) su scelte che riguardano il proprio corpo e la propria identità. Tant’è che lo stesso art. 32 proclama la regola generale del divieto di trattamenti sanitari contra voluntatem, salva espressa ed eccettuativa deroga in casi specifici contemplati dalla legge. Dall’altro, costituisce, in un’ottica “metaindividuale” un indefettibile interesse della collettività a non subire le conseguenze dei contagi. La situazione epidemiologica in atto e la minaccia che ne promana per la salute individuale e collettiva realizza un esempio paradigmatico della interdipendenza tra le due prospettive, individuale e collettiva, offerte dal “bene salute”.

2) È innegabile che tra le misure di prevenzione volte al contenimento del virus rientri anche la somministrazione di un vaccino. Una massiccia copertura vaccinale può infatti essere idonea al raggiungimento della cd. “immunità di gregge”, tutelando in tal modo anche i residui soggetti che a tale tipo di trattamento preventivo non possano o non vogliano sottoporsi. Una seria profilassi per la prevenzione delle malattie infettive impone l’adozione di misure omogenee sul territorio nazionale. Si tratta di una attribuzione esclusiva dello Stato ( art.117, comma 2, lett. q), perché è riservato a quest’ultimo “il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico- scientifiche disponibili” ( Corte cost., n. 5 del 2018). Non sono, invece, ammissibili interventi in materia di vaccinazioni obbligatorie da parte di singole Regioni. Lo ha di recente ribadito il Tar Lazio ( III- quater, 2 ottobre 2020, n. 10047) annullando l’ordinanza regionale che imponeva l’obbligo della vaccinazione antinfluenzale stagionale per una serie amplissima di categorie di soggetti “deboli” ( tutte le persone con età superiore a 65 anni e tutto il personale sanitario e sociosanitario operante in ambito regionale). Per il giudice amministrativo “l’ordinamento costituzionale non tollera interventi regionali di questo genere, diretti nella sostanza ad alterare taluni difficili equilibri raggiunti dagli organi del potere centrale”.

3) Le scelte discrezionali che si aprono al legislatore – e, si badi, solo per esso, non si può infatti intervenire in materia con i DPCM cui ci hanno abituato - sono molteplici. A partire dall’individuazione dello strumento. L’alternativa è tra la raccomandazione o la prescrizione a vaccinarsi. A quest’ultima potrebbero essere collegate, nel caso di inosservanza, anche specifiche conseguenze negative, come il divieto di accedere a determinati luoghi, la preclusione all’esercizio di attività professionali, o l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie. Non solo: è discrezionale anche la perimetrazione della platea dei soggetti cui indirizzare la raccomandazione e o la prescrizione. Si pensi alla difficile identificazione delle categorie dei soggetti c. d. “a rischio” nell’ambito delle quali possono ricomprendersi operatori sanitari, insegnanti, pazienti di residenze sanitarie ed assistenziali, persone di età avanzata, ovvero affette da specifiche patologie o disabilità.

4) E allora? Come concretamente esercitare tale discrezionalità legislativa? Come equamente bilanciare interessi così differenziati e potenzialmente contrapposti? Si tratta di una discrezionalità che va esercitata alla luce della specifica situazione sanitaria ed epidemiologica in atto, nonché delle risultanze della ricerca e della sperimentazione medica. Ad esempio, in tema di vaccinazioni scolastiche, si è riconosciuto da tempo che è ragionevole imporre la vera e propria “prescrizione” del trattamento, piuttosto della mera “raccomandazione”. Ciò in considerazione dell’inefficacia delle politiche vaccinali basate sulla persuasione e la necessità di garantire la salute ed il diritto alla istruzione di tutti gli altri minori e, così, della collettività ( Corte cost., 5/ 2018 e Cons. Stato, comm. speciale, parere n. 2065 del 26 settembre 2017).

Anche per alcune categorie di lavoratori è previsto l’obbligo di vaccini ( antitetanico, antitubercolare), in mancanza dei quali si diviene inidonei all’espletamento di talune mansioni, con la possibilità di arrivare al licenziamento per giusta causa nel caso di comprovata impossibilità di impiego con mansioni diverse. Ma, attenzione, tale orientamento, non è trasponibile tout court alle misure preventive contro la diffusione del Coronavirus e, segnatamente, al neonato vaccino.

5) La libertà di autodeterminazione - che implica la piena e consapevole facoltà di decidere se assoggettarsi a un determinato trattamento terapeutico e alla somministrazione del vaccino – assume, in questo caso, un peculiare significato rispetto alla dimensione solidaristica e collettiva del diritto alla salute. In realtà, proprio in ossequio al principio di precauzione, la scelta legislativa va improntata al rispetto del principio di proporzionalità, cioè al minimo necessario sacrificio. Cioè significa imporre sacrifici individuali non eccessivi, in una prospettiva di massima acquisizione di vantaggi e di contenimento del rischio collettivo, oltre ad essere scrupolosamente calibrata sulla scorta delle conoscenze provenienti dalle migliori e più accreditate ricerche scientifiche. Una campagna vaccinale deve fondarsi su accurati presupposti scientifici ed epidemiologici e va preordinata al perseguimento di una congrua copertura immunitaria della popolazione, ma tenendo conto anche dei potenziali fattori di rischio insiti nell’assunzione del vaccino, sulla scorta dei dati scientifici ed esperienziali a disposizione.

Nella fattispecie, è la novità assoluta di questa epidemia da Covid 19 a limitare e conformare lo spettro di discrezionalità del legislatore, anche in considerazione dell’assenza di sufficienti dati esperienziali attestanti l’attendibilità ed il grado di sicurezza ed efficacia del vaccino e dei rischi e delle complicanze discendenti dalla sua somministrazione. La conseguenza è che sono ragionevolmente da escludere previsioni legislative volte ad imporre forme, più o meno larvate, di obbligatorietà del vaccino, quanto meno in questa prima fase di campagna, tendenzialmente volta ad assicurare copertura alle categorie più a rischio.

In altre parole, in presenza di un’inevitabile incertezza circa il grado di efficacia e di sicurezza dei neonati trattamenti vaccinali ( e quanto meno fino a quando tale grado di incertezza permarrà) non può che allentarsi la soglia di esigibilità del contegno individuale di accettazione della somministrazione del vaccino. Mentre, al contrario, si riespande - rispetto all’interesse collettivo alla “copertura vaccinale” del maggior numero di persone - la libertà di autodeterminazione terapeutica dell’individuo. La quale deve in certa misura ritenersi ragionevolmente giustificata e supportata da – allo stato attuale delle conoscenze scientifiche - legittime remore legate ai potenziali e ancora ignoti rischi insiti in un trattamento terapeutico non ancora pienamente “testato”, ben diverso da quello che connota vaccinazioni che hanno alle spalle decenni di studi, di sperimentazioni e di riscontri. È una realtà che con un vaccino si somministra una minima dose della malattia per provocare nel corpo la reazione di un’immunità attiva; e che la sua sicurezza, com’è in genere per i farmaci, normalmente segue a lunghe sperimentazioni cliniche con riguardo anche agli effetti collaterali.

6) La scelta legislativa tra obbligo e raccomandazione ai fini della somministrazione del vaccino costituisce il punto di equilibrio, cioè di giusto bilanciamento tra valori parimenti tutelati dalla Costituzione. Ovvero tra il principio di dignità, di autodeterminazione dell’uomo e di rispetto della propria integrità psico- fisica, e quello alla tutela della salute collettiva. E l’equo contemperamento tra tali interessi va apprezzato alla luce dei dati e delle conoscenze mediche e scientifiche al momento della scelta. Ecco dove sta il punto. Lo stadio ancora “acerbo” delle conoscenze scientifiche – in punto di efficacia e, soprattutto, di “sicurezza” del vaccino – sono, allo stato delle conoscenze generali, dati sufficienti per legittimare la scelta individuale di non sottoporsi al trattamento. Soprattutto considerati gli ipotetici rischi per la salute individuale, la cui realtà e latitudine sono in larga parte ancora non compiutamente esplorati dalla scienza. Perciò integrano un limite ontologico all’esercizio della potestà legislativa che “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32, secondo comma, ultimo periodo, della Costituzione). E comportano il rispetto delle libere scelte di non sottoporsi a trattamenti vaccinali così nuovi e senza lunga sperimentazione.

Non è un caso che l’art. 32 sancisca, quale regola generale, la intangibilità della persona e della sua sfera psico- fisica, solennemente prescrivendo che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario”. Quale principio residuale, contempla la possibilità che una tale imposizione vi sia, ma solo in esecuzione di un’espressa disposizione di legge che non può in nessun caso “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Di qui la ragionevolezza di una scelta normativa fondata sulla raccomandazione, magari “rafforzata” per il tramite, ad esempio, di ampie attività di informazione e raccomandazione da parte delle autorità sanitarie pubbliche. Ed eventualmente anche con incentivi per stimolare la scelta di sottoporsi al trattamento vaccinale, come l’attribuzione di specifici vantaggi e benefits ( ad esempio trattamenti economici di favore per la fruizione di determinate prestazioni, o accesso agevolato ad attività ludiche, sportive o ricreative, ecc.).

Ma, beninteso, non certo “sanzionando” la scelta di non seguire la raccomandazione, per il tramite di preclusioni o compressioni dei diritti e della sfera giuridica dei “no vax”. La previsione di misure afflittive, incidenti sulla sfera giuridica dei soggetti “non vaccinati” come l’impossibilità di accedere ad ospedali o a strutture socio- sanitarie, ad istituti scolastici ovvero a determinati ambienti lavorativi, o anche solo sportivi, ludici o ricreativi - implicherebbe, giocoforza, riconoscere il carattere “obbligatorio” del vaccino. Che per le ragioni dette si porrebbe, rebus sic stantibus, al di là dal perimetro costituzionale. Oltre a rappresentare un pericoloso precedente per la tenuta di uno Stato democratico.