Difende la scelta dei colleghi. Ma con argomentazioni deboli. L’Anm di Bari continua a schierarsi con i togati del Consiglio giudiziario del distretto, i quali hanno approvato, giovedì scorso, una modifica del regolamento per sopprimere il “diritto di tribuna” finora riconosciuto ad avvocati e professori. Una scelta in controtendenza non solo con quanto avviene nella maggior parte dei Consigli giudiziari italiani ( ormai i due terzi prevedono la presenza dei laici in tutte le sedute), ma anche con la riforma Bonafede: il ddl che riorganizza il Csm, ora all’esame della Camera, sancisce infatti definitivamente il diritto di avvocati e professori eletti negli organismi distrettuali a presenziare alle riunioni in cui si discute delle valutazioni di professionalità dei giudici. Ebbene, ieri la sezione barese dell’Associazione magistrati ha invece sfidato quasi il ministro della Giustizia. Intanto perché ha insinuato una sorta di indebita “intrusività” dei laici: consentire all’avvocatura il pur «mero ascolto» nelle sedute riguardanti le valutazioni di professionalità dei magistrati «sarebbe del tutto irragionevole», secondo l’Anm del capoluogo pugliese. «Porterebbe, senza adeguate garanzie, all’immagazzinamento silente di una massa di informazioni delicate e sensibili ad opera di singoli avvocati quotidianamente impegnati nelle attività professionali dinanzi ai magistrati giudicati ». Come se l’avvocato potesse “ricattare” il giudice di un procedimento con le informazioni acquisite attraverso il Consiglio giudiziario. Una ipotesi difficilmente compatibile con il Codice deontologico forense, che vincola ciascun iscritto al rigoroso rispetto del principio di correttezza. Non solo, perché proprio il Consiglio distrettuale di disciplina di Bari, che ha giurisdizione anche sui Fori di Foggia e Trani, prevede che l’ufficio del pubblico ministero partecipi ai procedimenti disciplinari attivati nei confronti di qualunque avvocato. Vuol dire che se un difensore si servisse del Consiglio giudiziario per “accoltellare alle spalle” un magistrato, un pm vigilerebbe sulla necessaria sanzione che il sistema disciplinare forense certamente infliggerebbe a quel difensore.

La tesi contenuta nella nota diffusa ieri dall’Anm pugliese si presterebbe a una marea di altri rilievi. Innanzitutto, secondo una logica simile, un uso improprio dei pareri sulla professionalità potrebbe, per assurdo, essere ipotizzato persino per i pm eletti nel Consiglio giudiziario. Anche loro, in linea del tutto teorica, potrebbero “ricattare” o vendicarsi del collega gip “responsabile” di aver negato una misura cautelare. Ma astrazioni iperboliche a parte, fa impressione il punto di caduta della nota diffusa dalla sezione barese dell’associazione: la norma inserita nel ddl Bonafede ( all’articolo 3 primo comma) che sancisce il diritto di tribuna non avrebbe rilievo neppure orientativo, giacché «nell’attività del Consiglio giudiziario ci si deve attenere ovviamente alle norme esistenti e non a quelle non ancora approvate», asserisce il comunicato. Si omette però di dire che nella scorsa consiliatura del “mini Csm” di Bari, la stessa magistratura aveva liberamente scelto di riconoscere il diritto di tribuna. Ma soprattutto, prosegue la nota, seppure le nuove regole proposte da Bonafede diventassero legge dello Stato, «quando entreranno in vigore» le «esamineremo attentamente alla luce dei valori della nostra Costituzione». Della serie: caro ministro, ti porteremo dinanzi alla Consulta, se osi andare avanti.

Con prontezza di spirito d’altronde le Camere penali dei tre circondari coinvolti ( Bari, Capitanata e Trani) due giorni fa avevano colto il nodo della riforma in una delibera congiunta, con cui è stato proclamato lo stato d’agitazione dei penalisti dell’intero distretto. La cacciata di avvocati e professori dal Consiglio giudiziario di Bari nelle riunioni sulle valutazioni di professionalità dei magistrati è «una scelta inaccettabile», si legge nel documento, e «non può che essere ispirata dall’idea di un’avvocatura ritenuta soggetto estraneo a una giurisdizione a gestione domestica». E così la delibera firmata dai presidenti delle tre Camere penali ( rispettivamente Guglielmo Starace, Giulio Treggiari e Stefano Dardes) invita «il Legislatore a proseguire sulla strada della pubblicità del momento di valutazione di professionalità dei Magistrati» . L’elemento decisivo è dunque il contenuto della riforma. Ma è anche vero che l’idea di “tenere il punto”, affermata dall’Anm pugliese, contrasta con quanto scritto ieri su Repubblica da un magistrato come l’ex procuratore di Bari Giuseppe Volpe. In sintonia col punto di vista dei due componenti di diritto del Consiglio giudiziario, il presidente della Corte d’Appello Franco Cassano e la pg Anna Maria Tosto, Volpe ricorda che «la collaborazione tra magistrati e rappresentanti del Foro e dell’Accademia è di fondamentale importanza». Tanto più in un «ambito distrettuale che vive momenti di estrema difficoltà». E certo l’esclusione dei laici dal Consiglio giudiziario non ha semplificato le cose.